E’ uno di quegli studi cosiddetti
changing practice, una ricerca i cui risultati aiuteranno a trattare meglio i pazienti affetti da colangiocarcinoma (tumori delle vie biliari e della colecisti) per i quali fino a poco tempo fa non esistevano indicazioni terapeutiche solide, supportate da studi clinici, all’indomani dell’intervento chirurgico (terapia adiuvante).
Il BILCAP, uno studio inglese randomizzato di fase III, condotto su 447 pazienti con carcinoma delle vie biliari, ha dimostrato che il trattamento neoadiuvante con capecitabina (una terapia citostatica in compresse) aumenta la sopravvivenza media di 15 mesi, rispetto alla sola chirurgia. Sono risultati di portata tale che potrebbero far riscrivere gli standard di terapia per questa condizione.
“Il colangiocarcinoma – commenta
John N. Primrose, Professore di chirurgia all’Università di Southampton, (Gran Bretagna) – è una condizione caratterizzata da molti
unmet needs anche perché fino ad oggi sono state poche le ricerche condotte in questo campo. Il nostro studio è il primo ad aver arruolato un numero di pazienti sufficiente a dimostrare che il trattamento chemioterapico successivo all’intervento chirurgico può avere un impatto significativo sulla sopravvivenza di questi pazienti, con effetti collaterali modesti”.
Solo un paziente su 5 con un tumore delle vie biliari è candidabile all’intervento chirurgico e anche tra i soggetti operati solo 1 su 10 è ancora vivo a 10 anni.
Quando è stato messo a punto il disegno di questo studio non esisteva ancora uno standard di terapia adiuvante per questa condizione, anche se negli anni a seguire, gemcitabina e cisplatino sono stati proposti come trattamento di riferimento per il colangiocarcinoma in fase avanzata.
Nello studio BILCAP, 447 pazienti sono stati assegnati in maniera randomizzata al trattamento con capecitabina per 6 mesi o alla sola osservazione, dopo un intervento chirurgico per colangiocarcinoma. Più dell’80% dei pazienti sono stati seguiti per almeno 3 anni con esami clinici regolari, TAC addome, e dosaggio dei biomarcatori tumorali.
I pazienti del gruppo di controllo hanno mostrato una sopravvivenza media di 36 mesi dopo l’intervento, mentre in quelli trattati con capecitabina la media di sopravvivenza è stata di 51 mesi. Il trattamento con questo farmaco è risultato associato ad una riduzione del 20% del rischio di mortalità, rispetto al gruppo di controllo, anche se la differenza non è risultata statisticamente significativa perché un certo numero di pazienti ha abbandonato il trattamento; ripetendo questa analisi nei 430 pazienti che avevano portato a termine il ciclo di trattamento con capecitabina, il rischio di mortalità rispetto ai controlli è risultato ridotto del 25%.
L’intervallo di tempo medio prima di una recidiva del tumore è stato di 18 mesi nel gruppo di controllo e di 25 mesi nei trattati con capecitabina.
L’effetto collaterale più frequente nei trattati è stato un rash cutaneo a carico delle mani e dei piedi.
I prossimi step di questa ricerca riguarderanno l’analisi genomica dei campioni di tumore ottenuti dai pazienti arruolati. “Da quando abbiamo iniziato a pianificare questo trial, all’inizio del secolo, si sono resi disponibili un certo numero di nuovi agenti anti-tumorali, compresi alcuni che vengono utilizzati sulla base del profilo genetico del cancro”. Attualmente inoltre si sta lavorando all’analisi dei sottogruppi, poiché esistono 4 diversi tipi di carcinomi delle vie biliari, tre dei quali interessano il fegato e i dotti biliari, e uno la sola colecisti. Da quest’analisi ci si aspettano ulteriori indicazioni su quali siano i pazienti che possono trarre maggior beneficio dalla chemioterapia adiuvante.
E’ fondamentale tuttavia adottare nuovi approcci per reclutare pazienti per i futuri trial clinici sui tumori delle vie biliari – sostengono gli autori dello studio - visto che dieci anni, come quelli impiegati per effettuare il BILCAP, sono decisamente troppi in un’era caratterizzata da rapidi cambiamenti nel panorama delle terapie; per questo è fondamentale una cooperazione internazionale.
Lo studio è stato realizzato con il supporto di
Cancer Research UK e i risultati definitivi saranno presentati in occasione del prossimo congresso dell’ASCO.
Maria Rita Montebelli