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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Speciale QS. Lotta all’antibiotico resistenza. Troppe le differenze tra Nord e Sud del Paese. Ecco cosa succede Regione per Regione

immagine 5 aprile - Un’Italia così profondamente divisa da indurre l’Ecdc a bocciare le  difformità del sistema. È quanto emerso dall’evento “Stato dell’arte dell’antimicrobial stewardship: esperienze regionali a confronto” organizzati a Milano e Roma con il supporto non condizionato di Msd. L’appello di Rezza (Iss): “Abbiamo bisogno di sistemi di controllo uniformi”. Ecco la situazione in tutta Italia dalla viva voce degli esperti intervistati da Quotidiano Sanità
Regione che vai antibiotico resistenza che trovi. Il fenomeno che vede il nostro Paese in Europa tra i primi tre Stati con percentuali di resistenza più elevati, dopo Grecia e Turchia è, infatti, avvertito maggiormente nelle Regioni del Sud rispetto a quelle del Nord. Ma in generale, non mancano differenze tra Regioni e Regioni, tant’è che per l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), la frammentarietà inter-regionale rappresenta un grosso scoglio da superare. Insomma, una difformità da bocciare.
 
Le differenze tra le varie realtà locali e le problematicità relative al fenomeno dell’antibiotico resistenza sono state al centro dell’evento “Stato dell’arte dell’antimicrobial stewardship: esperienze regionali a confronto” un duplice incontro dedicato al tema che si è tenuto a Roma e a Milano con il supporto non condizionato di Msd. Due occasioni di confronto tra Istituzioni, clinici, microbiologi e manager della salute a livello regionale per fare il punto sullo stato dell’arte in tema di antimicrobial stewardship e individuare percorsi condivisi per lo sviluppo di modelli virtuosi.
 
Un evento nel corso del quale Giovanni Rezza, Direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità ha lanciato un appello affinché i sistemi di controllo vengano uniformati nel Paese. “In materia di antimicrobico-resistenze, le differenze tra Nord e Sud Italia sono eclatanti – ha spiegato  Rezza – nel Sud, infatti, il problema è decisamente più marcato. In Italia finora è stato investito troppo poco per controllare la diffusione di germi resistenti. Abbiamo bisogno di nuovi antibiotici e di sistemi di controllo uniformi. Abbiamo bisogno di standardizzare le procedure di rilevamento a livello dei diversi ospedali su tutto il territorio nazionale, e uniformare le misure di controllo per capire cosa funziona e cosa no, e dove”.
 
Ventuno regioni, ventuno sanità. Effettivamente quella italiana è una realtà a macchia di leopardo come si evince dal Report annuale sulla sorveglianza antimicrobica presentato dall’European Centre for Disease Prevention and Control a gennaio 2017. Una frammentarietà inter-regionale che, secondo l’Ecdc, rappresenta un grosso scoglio da superare per riuscire a delineare un corretto quadro epidemiologico dell’antimicrobico-resistenza nel Paese. “Un primo passo obbligato per intervenire con efficacia sul problema” ha sostenuto Gian Maria Rossolini, Università degli studi, Auo Careggi, Firenze. E per realizzarlo sono fondamentali “aggiornamento, accuratezza e rappresentatività dei dati rilevati”.
 
Spesso il dato fornito a livello nazionale non ha poi “validità” a livello locale, ha spiegato Rossolini, questo perché “la rete di laboratori che riportano all’Europea non è uniforme, la copertura varia da Regione a Regione, alcune addirittura non hanno laboratori. Ad esempio, secondo i dati nazionali l’enterococcus faecium è resistente alla vancomicina nell’11% dei casi. Tuttavia, il dato medio toscano è del 21% e approfondendo il discorso a livello ancora più locale, ci sono aziende sanitarie in cui i casi di resistenza manifestati sono pari a zero, in altre si arriva al 72%. Dunque l’11% nazionale non è rappresentativo come dato”. Inoltre è necessario che ci sia uniformità nelle metodiche di rilevamento dei dati perché l’accuratezza varia anche in base ai sistemi utilizzati dai diversi laboratori diagnostica “ad esempio per fare gli antibiogrammi – prosegue Rossolini – ci sono poi diverse prospettive epidemiologiche con cui si può osservare uno stesso problema, che danno informazioni diverse e che bisogna conoscere. Proprio per questo motivo in molti Paesi europei esiste già un forte spread interregionale”.
 
Tra tante ombre anche qualche luce. Uno studio europeo che ha indagato la capacità dei laboratori europei di “fare il proprio lavoro”, ha infatti rivelato che, “per ciò che riguarda i rilevamenti sulla sensibilità agli antibiotici e per la sorveglianza molecolare, gli italiani si collocano tra i migliori in Europa”. Certo, ha concluso Rossolini: “Sulla sorveglianza in generale, invece, siamo tra i più scarsi perché non abbiamo sorveglianza capillare in tutte le Regioni”.
5 aprile 2017
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