(Reuters Health) - La Disfunzione Erettile è associata a un aumento del rischio di malattia cardiovascolare negli uomini sani. Tuttavia, non è noto se il trattamento potrebbe essere utile dopo un primo infarto miocardico. Allo scopo di approfondire questo aspetto,
Martin J. Holzmann e colleghi, del Karolinska Institute di Stoccolma, hanno esaminato i dati a livello nazionale relativi a oltre 43.000 uomini svedesi (età media, 64 anni), che sono stati ospedalizzati per un primo infarto miocardico tra il 2007 e il 2013.
Nel corso di un follow-up medio di 3,3 anni, il 7,1% ha ricevuto un trattamento per la DE; tra questi il 92% ha ricevuto un PDE-5 e l’8% alprostadil. Si è dapprima evidenziato che tutti coloro che ricevano farmaci per la DE mostravano una mortalità significativamente inferiore (hazard ratio aggiustata, 0,67) e lo stesso valeva per il rischio di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca (HR, 0.60), ma non c’era alcuna associazione con l’incidenza degli infarti. Inoltre, l’effetto è stato specifico solo per gli inibitori della PDE-5, e con alprostadil non vi era alcuna associazione con la mortalità. Il vantaggio con inibitori della PDE5 sembrava essere dose-dipendente. Il rischio di morte, dopo aggiustamento dei dati, è stato ridotto del 34% con una sola prescrizione, del 53% da due a cinque prescrizioni, e del 81% con più di cinque.
Il limite principale dello studio, dicono i ricercatori, è che “gli uomini più sani erano anche più inclini a chiedere un trattamento per la DE. Infatti, i pazienti con trattamento per la disfunzione erettile erano più giovani e più sani rispetto ai pazienti senza trattamento per la disfunzione erettile. Tuttavia , anche dopo aggiustamento per queste differenze, si evidenziava una significativa riduzione del rischio di esito avverso “. “In ogni caso non è ancora possibile prescrivere un trattamento per la disfunzione erettile con inibitori dalla PDE-5 a tutti gli uomini che subiscono un infarto. In tal senso sarebbe opportuno condurre degli studi randomizzati e controllati che dovrebbero includere anche le donne e che dovrebbero confermare questi risultati”, ha concluso Holzmann.
Fonte: Heart 2017
David Douglas
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)