Otto donne su dieci vincono la loro battaglia contro il tumore al seno. In Italia, ci si ammala sempre di più di questa patologia, ma nello stesso tempo è aumentata pure la speranza di sopravvivere. Nel 2016, 50 mila donne hanno scoperto di avere un tumore al seno, 2 mila in più rispetto ai 12 mesi precedenti. Le speranze di sconfiggere la malattia, di contro, sono migliorate. Quasi il 2% in più di guarigione, in un solo anno, tra le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni. Che sia questa la fascia di età in cui si ottengono i migliori risultati non è un caso: è a queste signore che si rivolgono le campagne di screening mammografico gratuito. Fortunatamente, alla luce di questi effetti, alcune Regioni stanno coinvolgendo anche le over 45.
L’importanza della diagnosi precoce
Quando la malattia è individuata in fase precoce, infatti, le guarigioni superano il 90%. Sono questi alcuni dei dati emersi durante il convegno
Breast Journal Club, l’Importanza della Ricerca in Oncologia, che si apre oggi e che per due giorni vede riuniti a Napoli alcuni tra i più importanti esperti nazionali e internazionali sulla patologia. “Grazie alla mammografia e alle terapie innovative otto italiane su dieci colpite da cancro del seno riescono a sconfiggerlo – ha detto
Stefania Gori, Direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Don Calabria Negrar di Verona e presidente Eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) -. Il 45% delle italiane però non si sottopone ad esami in grado di diagnosticare precocemente la malattia”.
Prevenzione: regione che vai, usanza che trovi
In quanto a prevenzione la situazione italiana non è per niente omogenea: “ci sono forti differenze tra le varie Regioni. In Campania, ad esempio – ha continuato Gori - si registra una delle percentuali più basse di adesione e ben il 63% delle donne non esegue questo test salvavita. Rinnoviamo quindi il nostro appello affinché tutta la popolazione partecipi ai programmi di prevenzione secondaria del cancro”.
Le differenze tra le varie aree della penisola spingono anche le pazienti a spostarsi per sottoporsi alle cure necessarie: “ancora troppi italiani malati di cancro - ha aggiunto
Michele De Laurentiis Direttore U.O.C. Oncologia Senologica dell’Istituto Pascale di Napoli - si spostano dal Sud al Nord per ricevere cure e assistenza. Questo avviene nonostante nel Mezzogiorno siano attivi alcuni centri di assoluta eccellenza. Una possibile soluzione a questo problema può essere la realizzazione e attivazione delle Reti Oncologiche Regionali e la definizione dei Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali”.
Guarigione: il primato dell’Italia in Europa
Il tumore del seno è la patologia oncologica più frequente tra le donne italiane di ogni fascia d’età. “Il tasso di sopravvivenza, a cinque anni dalla diagnosi, nel 2016 ha raggiunto l’85,5% - ha aggiunto Gori -. Come per altre neoplasie si tratta di un dato superiore alla media europea che si ferma invece all’81,8%. Siamo quindi di fronte all’ennesima dimostrazione dell’ottimo livello raggiunto dall’oncologia italiana che riesce a primeggiare nel Vecchio Continente nonostante sprechi, disorganizzazioni e lungaggini burocratiche che ancora contraddistinguono il nostro sistema sanitario nazionale”.
Le nuove cure
Durante l’appuntamento nella città di Napoli è stato dedicato ampio spazio anche ai nuovi trattamenti: “oggi, rispetto a soli pochi anni fa, conosciamo meglio i meccanismi biologici che sono alla base dei tumori – ha aggiunto Michele De Laurentiis -. Le terapie sono sempre più mirate contro le cellule cancerogene e meno tossiche per il resto dell’organismo. Questi farmaci innovativi si aggiungono alle varie armi già a disposizione dell’oncologo come chemioterapia, radioterapia o ormonoterapia. In particolare nab-paclitaxel è un farmaco che sfrutta le nanotecnologie e che ha evidenziato un miglioramento della sopravvivenza del 20%. Per migliorare l’indice terapeutico dei taxani, che sono lo standard di cura nel trattamento del tumore della mammella, infatti, è stata utilizzata una tecnologia all’avanguardia: la nanotecnologia. E’ in grado di trasportare direttamente il farmaco al tumore sfruttando le proprietà di trasporto naturale dell’albumina. Piccolissime particelle, di questa proteina, vengono legate a paclitaxel in una forma solubile e iniettabile. Attualmente nab-paclitaxel è utilizzato nel trattamento del cancro del seno, pancreas e polmone”.
I progressi della ricerca
“Questi risultati sono ottenuti grazie alla ricerca scientifica – ha sottolineato
Sabino De Placido, Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università Federico II di Napoli -. In Italia negli ultimi dieci anni sono state svolte 230 sperimentazioni cliniche in ambito oncologico. Ciò nonostante il sistema di ricerca nel nostro Paese è fortemente limitato da alcuni eccessi burocratici. Per esempio, occorrono 17 settimane per avviare uno studio clinico mentre nel Regno Unito ne bastano cinque. Inoltre, nella Penisola, sono attivi 96 Comitati Etici che devono esprimere un parere sulle sperimentazioni. Seppur in riduzione il loro numero è ancora il doppio rispetto alla media del Vecchio Continente. È quindi necessario rivedere le norme che regolano questo particolare ambito della medicina e, al tempo stesso, favorire il più possibile la ricerca clinica indipendente attraverso nuovi investimenti pubblici”.
Nell’ambito delle nanotecnologie, tra ricerca sponsorizzata e ricerca indipendente, grazie alla Medical Affairs Director Oncology and Haematology Celgene, sono stati condotti in Italia oltre 20 programmi di ricerca, arruolando oltre 300 pazienti nei soli studi Company Sponsored. Per il solo nab-paclitaxel sono stati investiti in ricerca circa 40 milioni di euro in questi anni in Italia. “La nostra Azienda è lieta di contribuire alla realizzazione di un evento formativo così importante – ha concluso
Federico Pantellini, Medical Affairs Director Oncology and Haematology Celgene -. Crediamo fortemente nella ricerca e innovazione in oncologia e per questo investiamo in questo settore risorse importanti. I numeri parlano da soli: 120 milioni di euro investiti in R&D (Ricerca e sviluppo), fino al 2016, da studi di fase I a quelli di fase III. Con questo focus sulla ricerca Celgene risponde alla sua mission fondamentale: rendere disponibili per i pazienti oncologici farmaci innovativi in grado di migliorare sopravvivenza e qualità di vita”.