I pazienti portatori di pacemaker (PM) o di defibrillatore impiantabile (ICD) possono fare la risonanza magnetica?
Per lungo tempo la risposta a questa domanda è stata un no secco, per il timore di un possibile riscaldamento degli elettrocateteri, indotto dal campo magnetico della risonanza, in grado a sua volta di provocare un danno termico al miocardio e di alterare le proprietà di pacing. Ma adesso uno studio pubblicato sul
New England Journal of Medicine riapre la questione.
Nell’arco degli ultimi 20 anni sono stati prodotti dei
device cardiaci con caratteristiche tali da ridurre i rischi associati ad un’eventuale RMN. Il
Center for Devices and Radiological Health della
Food and Drug Administration americana li etichetta come ‘RMN-conditional’, indicando in questo modo l’assenza di rischio da RMN qualora ricorrano determinate condizioni. Il problema risonanza-si, risonanza-no, tuttavia continua a porsi per quei 6 milioni di persone nel mondo portatori di
device che non rientrano nei criteri di sicurezza individuati dell’FDA. Se poi si calcola che almeno a metà di questi nel corso della vita verrà prescritta una RMN, il problema diventa abbastanza serio, oltreché molto comune.
Per valutare dunque i rischi associati con una risonanza magnetica con un campo di 1,5 Tesla,
Robert J. Russo (
Scripps Research Institute (R.J.R.), La Jolla
Cardiovascular Research Institute (R.J.R., P.D.S.), University of California, San Diego) e colleghi di altre università americane (lo studio ha coinvolto 19 centri USA) hanno creato un registro apposito (
MagnaSafe Registry) riguardante tutti i soggetti portatori di un PM o di un ICD non approvato dalla
Food and Drug Administration per la risonanza magnetica (cioè ‘non-MRI-conditional’).
Nel registro sono stati inclusi tutti i pazienti ai quali era stata richiesta una risonanza magnetica con un campo a 1,5 tesla, non a carico del distretto toracico. I
device sono stati ‘interrogati’ prima e dopo l’esecuzione della RMN e, se necessario, adeguatamente riprogrammati prima dell’esame.
L’
endpoint primario dello studio era costituito da morte, guasto a carico del generatore o dei cateteri, aritmia indotta, perdita di cattura,
reset elettrico nel corso della risonanza. L’
endpoint secondario era rappresentato da alterazioni a carico del
setting del
device.
La RMN è stata effettuata in 1000 casi di pazienti portatori di pacemaker (818 pazienti in totale) e in 500 casi di portatori di ICD (428 pazienti in totale). Il 75% delle risonanze è stato effettuato a livello del capo o della colonna e la durata media di un esame era di 44 minuti. Durante l’esecuzione della RMN non si sono verificati casi di morte, di problemi a carico degli elettrocateteri, né perdita di cattura o aritmie ventricolari.
In un solo caso, non è stato possibile interrogare un generatore ICD, impiantato in un paziente non
pacing-dipendente, dopo la RMN per una violazione del protocollo (era stato lasciato in modalità attiva durante la RMN) e questo ha richiesto una sua immediata sostituzione. In 6 casi sono stati osservati episodi di fibrillazione o flutter atriale a risoluzione spontanea; ci sono stati inoltre altri 6 casi di reset elettrico parziale.
In un piccolo numero di casi sono state superate inoltre le soglie prespecificate di alterazioni di impedenza degli elettrocateteri, soglia di
pacing, voltaggio della batteria, ampiezza delle onde P ed R.
L’esecuzione di ripetute RMN non è risultata associata ad un aumento di eventi avversi.
In conclusione, in questo registro non sono stati osservati casi di guasti dei dispositivo o degli elettrocateteri in nessuno dei pazienti portatori di un PM o di un ICD ‘non-MRI-conditional’, sottoposti ad una RMN non toracica ad alto campo (1,5 Tesla). Tutti i pazienti erano stati sottoposti ad adeguato
screening e il loro
device era stato riprogrammato come da protocollo prespecificato.
Gli autori ricordano però che questo studio ha molte limitazioni. In primo luogo perché il registro è molto eterogeneo e comprende generatori e cateteri prodotti da aziende diverse e non includeva i portatori di
device per la resincronizzazione cardiaca, né i portatori di ICD
pacing-dipendenti. I risultati potrebbero dunque non essere applicabili
tout court a tutti i
device e ai relativi cateteri. La popolazione del registro inoltre non comprendeva under-18, per cui questi risultati non sono estrapolabili alla popolazione pediatrica.
Maria Rita Montebelli