Uno studio realizzato dalla Harvard T.H. Chan
School of Public Health consegna a medici e ricercatori di tutto il mondo degli algoritmi nuovi di zecca in grado di prevedere il rischio cardiovascolare (eventi cardiovascolari fatali e non fatali, quali infarto e ictus) a 10 anni.
Questi strumenti sono stati
validati per 182 nazioni (c’è anche l’
Italia) e saranno di particolare utilità per i Paesi a basso e medio reddito, che non dispongono di carte del rischio ‘locali’ o laddove potrebbe essere complicato (se non impossibile) accedere ad un laboratorio di analisi.
Da questo punto di vista le nuove carte rappresentano non solo un
superamento delle precedenti, utilizzabili solo nei Paesi più ricchi, ma anche una vera rivoluzione. E vanno a colmare così un gap importante, visto che i tre quarti di tutte le malattie cardiovascolari, principale causa di morte e di disabilità in tutto il mondo, si verificano proprio nei Paesi a basso e medio reddito.
“Le linee guida nazionali e internazionali – ricorda
Goodarz Danaei, professore associato di Salute globale presso la Harvard Chan School e autore senior del lavoro - raccomandano che i medici si avvalgano di queste equazioni di rischio, in genere sotto forma di carte del rischio, per individuare i pazienti ad elevato rischio di eventi cardiovascolari, così da poter suggerire le opportune modifiche dello stile di vita o prescrivere dei farmaci per abbassare questo rischio. Queste nuove carte del rischio, che sono state calibrate nazione per nazione, rimuovono i principali ostacoli incontrati finora nell’applicazione delle strategie basate sul rischio, per prevenire le patologie cardiovascolari”.
I ricercatori americani hanno messo a punto due diversi modelli di predizione del rischio, uno che prevede una serie di esami di laboratorio (cosiddetto
modello ‘laboratory-based’), l’altro che può essere usato anche in assenza di esami del sangue (cosiddetto
modello ‘office-based’).
Confrontando il potere predittivo dei due modelli è emerso che nell’85-99% dei casi, il modello
office-based è altrettanto valido di quello
laboratory-based nel definire il rischio cardiovascolare. Solo nel caso dei pazienti diabetici, il modello
office-based sottostima in maniera significativa il rischio cardiovascolare e non è dunque raccomandabile.
Lo studio appena pubblicato ha anche rivelato che il rischio cardiovascolare a 10 anni è in genere inferiore nelle nazioni ad alto reddito, rispetto a quelle a basso e medio
income.
I livelli di rischio più elevatisono stati riscontrati nelle nazioni del sud-est asiatico e dell’Asia centrale, oltre che nei Paesi dell’Europa dell’Est. Molto importanti le differenze in termini percentuali della popolazione ad elevato rischio cardiovascolare nelle diverse nazioni e a seconda del genere; si va ad esempio dall’1% delle donne coreane al 42% dei maschi della Repubblica Ceca. Tra le nazioni a basso reddito si va invece dal 2% della popolazione dell’Uganda (sia uomini che donne), al 13% dei maschi iraniani.
“Questi risultati – commenta il primo autore dello studio
Peter Ueda, Dipartimento di
Global Health and Population alla Harvard Chan – suggeriscono che è arrivano il momento di intraprendere delle azioni per rafforzare il sistema delle cure primarie in molte nazioni a basso e medio reddito per individuare i soggetti ad elevato rischio cardiovascolare e fornire loro un adeguato
counseling sullo stile di vita o terapie in grado di ridurre il livello di questo rischio”.
Il lavoro è pubblicato
online first su
Lancet Diabetes and Endocrinology,
mentre i set completi delle nuove carte del rischio e dei calcolatori del rischio sono disponibili sul sito
http://www.globorisk.org.
Maria Rita Montebelli