In epoca non sospetta, Terenzio faceva dire a Cremete, personaggio del ‘Phormio’
senectus ipsa est morbus, a sottolineare come col passare degli anni, acciacchi e malattie siano destinati inevitabilmente ad aumentare, semplicemente perché la vecchiaia è già una malattia. E pur non sapendo nulla di biologia molecolare e dintorni, stando ai risultati uno studio appena pubblicato su Science, espressione di un innovativo filone di ricerca, pare proprio che lo scrittore latino avesse colto nel segno.
Dei processi che portano all’aterosclerosi si sa molto, ma non tutto. Avere le carte in regola sul fronte dei fattori di rischio noti e arci-noti (fumo, ipertensione, dislipidemia, diabete, stress) certamente aiuta. Resta però il fatto che circa il 60% degli anziani con patologie cardiovascolari aterosclerotiche non hanno fattori di rischio, o al più ne hanno uno solo, a parte l’età appunto.
Questo fa supporre che, al di là dei fattori di rischio convenzionali, ne esistano altri, età-correlati, non ancora individuati, in grado di contribuire al determinismo dell’aterosclerosi.
Uno dei risvolti molecolari dell’invecchiamento è il progressivo accumulo di mutazioni del DNA. E questo è un dato assodato da tempo. Non è tuttavia ancora stato chiarito il ruolo delle mutazioni del DNA a carico delle cellule somatiche in patologie che non siano i tumori.
Recenti ricerche sull’uomo hanno evidenziato che l’invecchiamento si associa ad un accumulo di mutazioni somatiche a carico delle cellule ematopoietiche, progenitrici delle cellule del sangue. Fatto ancora più interessante è che queste mutazioni conferiscono alle cellule mutate un vantaggio di crescita competitiva, consentendo così ai loro cloni di espandersi più facilmente. E questo processo correla con una maggior incidenza di aterosclerosi. Ma non si sa ancora perché.
Jose Fuster e colleghi della
Molecular Cardiology, Whitaker
Cardiovascular Institute, Boston
University School of Medicine (USA) e di altre università (Yale, Madrid, Queensland) hanno deciso di far luce su questo fenomeno, con uno studio appena pubblicato su
Science.
I ricercatori hanno utilizzato un modello murino creato ad hoc (topi ‘proni’all’ aterosclerosi in quanto deficitari del recettore per le LDL) per studiare come il TET2, uno dei geni abitualmente mutato nelle cellule del sangue degli anziani, che codifica per un modificatore epigenetico, potesse andare ad influenzare lo sviluppo delle placche aterosclerotiche.
Lo studio ha evidenziato che la formazione delle placche aterosclerotiche subiva effettivamente un’accelerazione negli animali sottoposti a trapianto di midollo con cellule prive del TET2 e che la causa di questo sembra risiedere in un aumento dell’infiammazione indotta dai macrofagi a livello della parete arteriosa.
I macrofagi privi di TET2 presentavano infatti un aumento di secrezione di interleuchina-1 beta mediata dall’inflammasoma NLRP3.E la riprova che questo fosse il meccanismo alla base dell’espansione delle placche aterosclerotiche è che la somministrazione di un inibitore di NLRP3 presentava un effetto di protezione dall’aterosclerosi molto maggiore nei topi con deficit di TET2, rispetto a quelli normali.
Questi risultati – concludono gli autori - consolidano l’ipotesi di un ruolo causale delle mutazioni somatiche di TET2 nelle cellule ematopoietiche nei processi aterosclerotici.
Insomma Terenzio ci aveva visto giusto.
Maria Rita Montebelli