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QS Edizioni - venerdì 27 dicembre 2024

Scienza e Farmaci

Attratti dai cibi spazzatura? Tutta colpa degli endocannabinoidi

immagine 5 luglio - Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia mostra il meccanismo biologico alla base del piacere dato dal junk food. Potrebbe essere un primo passo verso la messa a punto di una nuova generazione di farmaci anti-obesità.
I cibi grassi sono per il nostro organismo come una droga. Non è un semplice modo di dire, ma il risultato di uno studio condotto da ricercatori del dipartimento Drug Discovery and Development dell’Istituto Italiano di Tecnologia e pubblicato oggi sui Proceedings of the National Academy of Sciences. Il team ha identificato infatti il meccanismo biologico che rende così piacevoli, per il palato e per il cervello, i cibi grassi e che vede coinvolti gli endocannabinoidi, sostanze prodotte naturalmente dal corpo umano, ma che devono il proprio nome al fatto che il THC, il principio attivo della Cannabis, ne mima gli effetti. I ricercatori, in particolare, hanno osservato la capacità dei cibi grassi di generare un segnale di feedback positivo nella lingua che, prima, viene inviato al cervello e da lì, attraverso il nervo vago, all’intestino. Qui, il segnale stimola la produzione di due endocannabinoidi (l’anandamide e il 2-arachidonil-sn-glicerolo) che si legano al loro recettore target CB-1 (Cannabinoid-1). È in questo modo che nasce la sensazione di desiderio per i cibi che sono all’origine dell’epidemia di obesità.“Parlando in termini evolutivi – ha spiegato Daniele Piomelli, che dirige il dipartimento Drug Discovery and Development – l’esistenza di questo meccanismo è stata molto importante per l’adattamento e la sopravvivenza dei mammiferi, in quanto i cibi grassi rappresentano un’importante e primaria fonte di energia. Ma, oggi, non è più così, sia perché nell’ambiente in cui viviamo abbiamo a disposizione tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno, sia perché lo sforzo fisico a cui siamo sottoposti è molto minore rispetto al passato. Quindi, questo meccanismo, così necessario nel passato, è diventato causa di sovrappeso, obesità e patologie molto importanti, quali il diabete, la malattia coronarica e i tumori”.
Dallo studio, tuttavia, arriva una buona notizia di quasi immediata applicazione clinica: i ricercatori hanno osservato che un antagonista del recettore CB-1 (rimonabant) fa sì che il bisogno di ingestione dei grassi diminuisca. Almeno in teoria, è quindi possibile inibire i recettori degli endocannabinoidi  a livello locale, nell’intestino, e non centrale, eliminando così gli effetti collaterali del loro blocco sul cervello, quali ansia e depressione.“Oggi – ha aggiunto Piomelli – le soluzioni contro all’obesità non sono molte e, comunque, sono piuttosto invasive o hanno degli effetti collaterali decisamente importanti. Pensiamo, ad esempio, agli interventi “gastrorestrittivi”, con l’uso di un palloncino o di un anello, o alla prescrizione di farmaci anoressizzanti, quali l’amfetamina. La possibilità di inibire a livello locale, e non centrale, il desiderio di ingerire i grassi sarebbe un grandissimo passo avanti, con innumerevoli vantaggi per la salute del paziente”, ha concluso.
5 luglio 2011
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