Il tumore ovarico è un killer silenzioso. Così subdolo che nel 75-80% dei casi viene diagnosticato in fase avanzata. In Italia nell’ultimo anno sono stati diagnosticati 5 mila casi di questo tumore, che miete ogni anno circa 3 mila vittime solo nel nostro Paese.
Le donne più a rischio sono quelle portatrici del cosiddetto ‘
gene di Angelina Jolie’, la mutazione del gene Brca, alla base del 15-25% dei casi di carcinoma ovarico. Nelle donne con questa mutazione il rischio di sviluppare un tumore dell’ovaio è del 46%, rispetto all’1,8% della popolazione generale.
L’unico modo per aumentare le probabilità di successo della terapia è di diagnosticare questa neoplasia in fase precoce e questo passa anche attraverso la ricerca della presenza della mutazione del gene Brca. Il test genetico è consigliato dalle principali società scientifiche ma nella realtà è disponibile solo in alcune regioni.
Di recente l’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), la SIGU (Società Italiana di Genetica Umana), la SIBioC (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica) e la SIAPeC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia diagnostica) hanno lavorato alle ‘Raccomandazioni per l’implementazione del test Brca nei percorsi assistenziali e terapeutici delle pazienti con carcinoma ovarico’, pubblicate sulla rivista
Future Oncology.
“L’impegno di AIOM – ricorda
Stefania Gori, presidente eletto di AIOM – si è concretizzato nel 2015 nella diffusione delle Raccomandazioni in tutta Italia, al fine di formare gli oncologi e di informare le pazienti. AIOM, insieme a Fondazione AIOM, continua nel suo impegno per l'implementazione delle Raccomandazioni attraverso progettualità che verranno svolte anche nel prossimo anno. Nella lotta al tumore ovarico positivo alla mutazione Brca, oltre allo sviluppo di nuove possibilità terapeutiche, è essenziale far comprendere alle pazienti che sapere di essere portatrici della mutazione genetica Brca può aprire, all'interno della propria famiglia, un percorso ‘complesso’ ma utile perché in grado di portare all'identificazione di familiari sane, che potrebbero quindi intraprendere percorsi di sorveglianza attiva o di chirurgia profilattica, evitando così di ammalarsi di tumore”.
Dalla constatazione di un’ancora insufficiente implementazione delle raccomandazioni a livello di molte Regioni italiane, sono nate tre iniziative volute da ACTO Onlus (Alleanza contro il tumore ovarico), ALTEMS (Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica) e Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) che mirano ad attirare l’attenzione sull’importanza dei test genetici Brca per la diagnosi precoce di questa condizione. L’idea alla base di questi progetti è quella di rivendicare il diritto al test genetico per il tumore ovarico e di renderlo disponibile alle pazienti in tutte le Regioni, per offrire loro delle terapie più mirate, e per fare prevenzione tra i loro familiari.
“I test genetici Brca – ricorda
Nicoletta Colombo Professore Associato Ostetricia-Ginecologia Università Milano-Bicocca, Direttore Programma Ginecologia Oncologica Istituto Europeo Oncologia – rappresentano uno strumento fondamentale perché consentono di identificare il trattamento più efficace per le pazienti, come i Parp inibitori. Questi farmaci sfruttano il difetto nel meccanismo di riparazione del Dna, derivante proprio dalla mutazione Brca, e bloccano così un ulteriore meccanismo di riparazione, portando alla morte delle cellule tumorali. Accedere al test Brca per le pazienti con carcinoma ovarico è quindi fondamentale già alla diagnosi, ma oggi in alcune Regioni, come ad esempio la Lombardia, il percorso diagnostico è estremamente confuso: fa riferimento infatti ad una delibera regionale che non considera i criteri di eleggibilità proposti dalle Raccomandazioni AIOM – SIGU – SIBioC – SIAPeC-IAP”.
Io scelgo di sapere. E’ la campagna di informazione (
guarda la campagna) organizzata da ACTO Onlus e aBRCAdaBRAonlus, insieme alla Fondazione AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) e alla SIGU (Società Italiana di Genetica Umana). Almeno il 60% delle italiane non conosce il tumore ovarico. Per questo ACTO Onlus ha deciso di iniziare proprio da lì. La campagna è indirizzata alle pazienti con tumore ovarico e ai loro familiari; informa dell’esistenza della mutazione Brca e del relativo test genetico, spiegandone le potenzialità prognostiche, predittive e di prevenzione.
“Circa un quarto dei 5.600 tumori ovarici diagnosticati ogni anno in Italia – spiega
Nicoletta Cerana, presidente di ACTO Onlus – ha origine dalla mutazione dei geni Brca. Alle pazienti portatrici di questa mutazione, così come ai loro familiari, il nuovo test genetico Brca offre la possibilità di usufruire di cure innovative e di intraprendere percorsi di prevenzione solo 5 anni fa inimmaginabili. Di queste importanti novità si parla da tempo negli ambienti scientifici, ma noi donne che cosa ne sappiamo? Purtroppo ben poco – prosegue la Cerana – e non sapendo, non possiamo fare le scelte giuste né per noi, né per i nostri familiari. Per questo, insieme ad aBRCAdaBRAonlus, abbiamo deciso di lanciare la campagna ‘Io scelgo di sapere’ come risposta alle domande e ai dubbi legati alla mutazione e al test Brca, per aiutare ogni donna a compiere la scelta giusta, verso se stessa e i suoi familiari”. Una campagna che ha colpito nel segno, visti i 20.000 contatti ottenuti nelle prime due settimane.
Studio Venus (Valorization of gEnetic testing future uSes). Si tratta di uno studio di farmaco-economia realizzato da ALTEMS, che ha confrontato una strategia di ‘test’ con una strategia ‘no test’ sui familiari delle pazienti colpite da cancro dell’ovaio e positive alla mutazione dei geni Brca. Lo studio Venus dimostra che l’estensione di questi test rappresenta un investimento sostenibile e conveniente per l’SSN.
“L’obiettivo di questo studio – ha spiegato
Americo Cicchetti, Ordinario di Organizzazione Aziendale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Direttore di ALTEMS – è quello di valutare l’estendibilità del test Brca alle familiari delle pazienti con patologia tumorale dell’ovaio che sono risultate positive alla ricerca dei geni Brca1 e Brca2 rispetto ad una strategia di attesa. Il nostro studio dimostra che l'estensione di tali test diagnostici è un investimento costo-efficace per il sistema sanitario nazionale, in quanto produce maggiore salute con un incremento dei costi accettabile. In conclusione, risulta importante implementare delle strategie predittive, come il test genetico Brca alle pazienti diagnosticate, per poi estendere il test ai loro familiari, a scopo preventivo”.
Mutazioni genetiche nel carcinoma dell’ovaio. E’ il progetto promosso dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) che mira a far includere il test Brca nei LEA, per renderlo disponibile a tutte le donne con tumore ovarico. Si parte con la fotografia del livello di informazione esistente in Italia intorno a questo test, del suo utilizzo, delle modalità di accesso e delle tecniche utilizzate, attraverso un’indagine che coinvolgerà medici, pazienti e familiari. In una seconda fase verranno analizzati gli aspetti epidemiologici, clinici, psicologici e gestionali del tumore ovarico Brca mutato, evidenziando i
gap tra le raccomandazioni delle società scientifiche e l’impiego del test in alcune Regioni italiane.
“Nel tumore ovarico – afferma
Francesca Merzagora, fondatrice e presidente di Onda – l’accesso al test genetico è fondamentale non solo ai fini della diagnosi, ma anche per la scelta del trattamento e per la prevenzione nei confronti dei familiari. Purtroppo in Italia, nonostante le raccomandazioni delle società scientifiche, l’accesso ai test genetici è ancora disomogeneo con importanti differenze regionali. Per questo vogliamo offrire per la prima volta una fotografia puntuale dello stato dei test genetici in Italia, andando ad ascoltare la voce di tutti i soggetti coinvolti, con l’obiettivo ambizioso di chiedere l'inserimento del test Brca all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza, garantendone il diritto di accesso a tutte le donne con tumore ovarico”.
Maria Rita Montebelli