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QS Edizioni - giovedì 18 luglio 2024

Scienza e Farmaci

Ipertensione: controllo e compliance sono i nodi da sciogliere

immagine 20 giugno - La scarsa compliance resta un problema. Per migliorare l’aderenza alla terapia arriverà anche una tripla associazione. Occhio anche alla microalbuminuria, segnale precoce di disfunzione e disturbi renali oltre che fattore altamente predittivo di episodi cardiovascolari e relativa mortalità.
Nel mondo sono forse un miliardo, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le persone che soffrono d’ipertensione e questa, se non adeguatamente trattata, può avere gravi conseguenze come infarto miocardico o ictus. Nel nostro continente è causa del 35% dei decessi, mentre il 22% di tutti i casi d’infarto miocardico acuto nell’Europa occidentale si riscontra in persone con ipertensione arteriosa.
Non soltanto molti ignorano di essere ipertesi. C’è anche un altro rilevante problema: quello dell’alto numero di casi in cui la malattia non è ben controllata. Il controllo sub-ottimale è infatti considerato dall’Oms il principale fattore di rischio di morte (in Europa solo al 14-26% dei pazienti con controllo pressorio inadeguato viene aumentata la terapia). Senza dimenticare l’altro nodo da sciogliere, cioè quello della scarsa aderenza alla terapia, dovuta, ad esempio, all’alto numero di pillole quotidiane, a problemi di memoria, a scarsa educazione-sensibilizzazione del paziente.
Va ricordato che già sotto le soglie d’ipertensione (i 140-90 mmHg che scendono a 130 mmHg se è presente diabete tipo 2) c’è comunque una crescita costante di rischio cardiovascolare proporzionale alla crescita dei livelli pressori, che rende così quanto mai opportuno non far salire la pressione.

“I dati mostrano che la compliance si riduce nel tempo, in un anno arriva a calare del 50%” nota al 21° Congresso della Società europea dell’Ipertensione (ESH), a Milano, Massimo Volpe, dell’Università La Sapienza-Ospedale Sant’Andrea di Roma. “Il rischio di eventi cardio e cerebrovascolari si lega alla compliance. La semplificazione del trattamento è quindi una delle vie maestre per migliorare l’aderenza: si può ridurre il carico attraverso combinazioni a dosi fisse (FDC). Non sempre la combinazione doppia è però sufficiente, c’è comunque un 15-20% di pazienti che sfuggono al controllo. Si ricorre perciò alla tripla combinazione: una novità è l’associazione in un’unica compressa di tre principi attivi, olmesartan, amlodipina e idroclorotiazide. Abbiamo infatti verificato in uno studio condotto con l’Università di Varsavia – continua Volpe – che la tripla combinazione riduce i valori pressori diastolici e sistolici in pazienti ipertesi in misura significativamente maggiore di quella doppia (olmesartan più amplodipina) senza aumento di effetti indesiderati”. L’associazione in unica compressa dei tre principi attivi, realizzata da Daiichi-Sankyo, sarà presto disponibile anche in Italia e aggiungerà quindi un’ulteriore opzione all’armamentario terapeutico. La stessa azienda giapponese è impegnata in iniziative per la pratica medica come il programma SHARE e il programma MAU, di tipo medico-educazionale, che punta ad aumentare la consapevolezza su un altro fattore rilevante rispetto all’ipertensione e al rischio cardiovascolare, cioè la microalbuminuria (MAU). Quest’ultima consiste nell’anomala presenza di piccole quantità della proteina plasmatica albumina nelle urine. Oltre a essere un segnale precoce di disfunzione e disturbi renali (l’ipertensione è un fattore di rischio del suo sviluppo), è anche un fattore altamente predittivo di episodi cardiovascolari e relativa mortalità.

Anche quando la MAU è sotto la soglia, il rischio cardiovascolare aumenta progressivamente al crescere dell’albuminuria nel range normale-alto. La microalbuminuria si associa anche  diabete tipo 2 e aterosclerosi. In quanto associata a danno d’organo subclinico e aumento del rischio cardiovascolare, la ESH ha stilato linee guida che raccomandano esami di routine per la MAU nei pazienti con ipertensione e negli ipertesi con diabete e MAU o malattie renali croniche, così come l’uso di inibitori del sistema renina-angiotensina (come gli antagonisti dei recettori dell’angiotensina o ARB, categoria dell’olmesartan, e gli ACE-inibitori). L’olmesartan, in particolare, nel recente studio Roadmap olmesartan, ha mostrato di impedire o ridurre l’insorgenza di MAU in soggetti con diabete 2 anche con buon controllo pressorio.

I fattori di rischio di microalbuminuria comunque sono anche correlati all’età avanzata e – tra quelli evitabili o attenuabili con uno stile di vita sano – a obesità, fumo e  lipidi ematici elevati. Ai fattori comportamentali – dall’alimentazione scorretta alla sedentarietà – viene infatti attribuito circa l’80% dei casi di malattie coronariche. La prevenzione è dunque essenziale, anche perché, come detto per l’ipertensione, non c’è una soglia di rischio zero. Guardando invece i benefici della riduzione dei valori pressori alti un dato li evidenzia chiaramente: il solo abbassamento di 2mmHg di pressione sistolica in pazienti di 40-69 anni può ridurre del 7% il rischio di mortalità da malattia cardiovascolare e far diminuire del 10% per decade il rischio di mortalità per ictus.

E.V.


 


 
20 giugno 2011
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