Più diagnosi di cancro in fase precoce, pazienti curati a casa sotto stretto controllo specialistico, ‘decongestionamento’ degli ospedali che vanno utilizzati solo per i trattamenti più complessi e stretta collaborazione con i medici di famiglia nella gestione delle visite di controllo (follow up).
Sono questi i vantaggi che arrivano dall’attivazione delle Reti oncologiche regionali e che si traducono nella possibilità per tutti di accesso alle cure migliori in modo uniforme sul territorio e conseguentemente in risparmi per il Ssn. Eppure in Italia sono attive solo in sei Regioni, in altre sei si sta lavorando e nelle restanti mancano totalmente.
Di fronte a questo scenario l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), il Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (Cipomo) e l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas) hanno stilato un documento - presentato oggi nel corso di un convegno al ministero della Salute - che definisce i criteri minimi e indispensabili a cui le Reti dovrebbero attenersi.
Ma quali sono le regioni virtuose e quelle che invece segnano il passo? Le Reti oncologiche sono state attivate in Piemonte, Lombardia, Toscana, Trentino, Umbria e Veneto. E ognuna funziona con caratteristiche differenti. Mente ci sono “lavori in corso” in Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Sicilia e Alto Adige”. Non c’è invece traccia di questi network in Abruzzo, Campania, Calabria, Basilicata, Marche, Molise, Puglia e Sardegna.
“È indispensabile – spiega
Carmine Pinto, presidente nazionale Aiom – la presenza di un’autorità centrale denominata ‘Coordinamento delle rete oncologica regionale’ in grado di governare i collegamenti tra le diverse strutture, la pianificazione dell’uso delle risorse, la definizione e valutazione dei percorsi dei pazienti per le diverse neoplasie. Serve inoltre la diffusione nel territorio di punti di accesso alla Rete oncologica in grado di prendere in carico rapidamente il singolo caso assicurando la regia e le indicazioni nei diversi passaggi dell’intero percorso di cura. L’organizzazione in rete deve inoltre prevedere un approccio multidisciplinare e multiprofessionale”.
Il documento stilato da Aiom, Cipomo e Agenas sarà presentato in tutte le Regioni “perché le singole realtà locali siano stimolate ad attivare un percorso virtuoso in questo senso”.
“I punti di accesso alla Rete identificati e accreditati – sottolinea
Giordano Beretta, segretario nazionale Aiom –funzioneranno da regia della gestione del caso riferendolo al percorso definito sulla base dei Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, concordati e periodicamente aggiornati a partire dalle Linee guida delle società scientifiche nazionali e internazionali. La rete si deve orientare anche verso la medicina generale nella programmazione del follow up, degli interventi riabilitativi e delle cure palliative, con un coinvolgimento dei distretti territoriali, dei medici di medicina generale e delle associazioni dei pazienti. È inoltre necessario disporre di sistemi di passaggio delle informazioni che rendano semplice lo spostamento tra i diversi nodi della Rete. Indispensabile quindi un percorso di informatizzazione che consenta l’accesso a tutti i dati clinici nei vari punti coinvolti dal percorso assistenziale. La strutturazione in Rete può inoltre razionalizzare l’impiego delle tecnologie e delle professionalità, ottenendo anche una ottimizzazione dei costi, e può migliorare la partecipazione a studi clinici e la diffusione delle possibilità terapeutiche innovative a tutti i pazienti”.