Il vorinostat è un farmaco strano, nel senso che le sue possibilità terapeutiche sono ancora in gran parte da scoprire. Appartiene alla classe degli inibitori delle deacetilasi istoniche ed è approvato negli USA per il trattamento del linfoma a cellule T cutaneo e della sindrome di Sézary. Il nuovo farmaco è però al vaglio anche per il trattamento del glioblastoma multiforme e per il carcinoma polmonare non a piccole cellule.
Fin qui la scienza. Da un paio di giorni però il vorinostat è improvvisamente balzato agli onori delle cronache ‘laiche’ cioè di tutti i quotidiani della Gran Bretagna, rimbalzando poi da lì a quelli di tutto il mondo, grazie ai risultati ottenuti in un paziente affetto da AIDS, nel cui sangue non si trova più traccia di HIV da due settimane.
Il paziente ‘X’, insieme ad altri 50 ‘colleghi’, è arruolato in un piccolo
trial che utilizza farmaci anti-retrovirali e di vorinostat, all’interno di un protocollo di cura sperimentale condiviso da un consorzio di università inglesi (il CHERUB
Collaborative HIV Eradication of Viral Reservoirs comprendete le università di Oxford, Cambridge,
Imperial College diLondra,
University College di Londra e
King’s College di Londra), voluto sei anni fa da Mark Samuels, direttore del
National Office for Clinical Research Infrastructure (NOCRI), parte del
National Institute for Health Research inglese.
Oggetto dei titoli a caratteri cubitali è dunque che il virus dell’HIV sarebbe ‘sparito’ dal sangue del paziente ‘X’ che ha un lavoro (fa l’assistente sociale) e una data di nascita (ha 44 anni). Questo ha fatto scatenare i titolisti sulla ‘notizia’ che gli scienziati inglesi coinvolti in questo piccolo
trial sarebbero prossimi ad una cura, cioè all’eradicazione definitiva della malattia.
E naturalmente questa è la speranza di tutti, ma va anche detto che per ora è solo
wishful thinking, almeno fino a prova contraria. Intanto perché la durata di questa ‘scomparsa’ del virus dell’HIV è di appena due settimane; poi perché il paziente ‘X’ è in cura, oltre che con il vorinostat, anche con la terapia anti-retrovirale, che da sola è in grado di produrre la ‘scomparsa’ del virus dal sangue. Scomparsa purtroppo non definitiva, perché alla sospensione degli anti-retrovirali il virus ricompare nel sangue. La speranza è che il vorinostat possa aiutare il sistema immunitario dell’ospite a fare la sua parte nella lotta all’HIV e quindi ad eradicare la malattia.
Al di là delle notizie ‘strillate’ e del comprensibile entusiasmo del paziente, che sta rilasciando interviste
urbi et orbi, nella speranza ovviamente di guarire ma anche di entrare nella storia, il
trial inglese poggia su basi scientifiche molto solide. Parte dalla constatazione che finora tutti gli sforzi di terapia fatti contro questo virus, si sono infranti sullo scoglio delle cellule infette ‘dormienti’, che albergano il virus.
Il
trial RIVERS (
Research in Viral Eradication of HIV Reservoirs), condotto da
Sarah Fidler, professoressa di
HIV Medicine all’
Imperial College di Londra, che spera di portare ad una cura definitiva per l’AIDS, è stato soprannominato ‘
kick and kill’ perché questa strategia terapeutica dà letteralmente uno scossone alle cellule immunitarie dormienti infettate dall’HIV,scatenando quindi il sistema immunitario contro il virus. E questo si spera di ottenerlo utilizzando appunto il vorinostat, farmaco usato finora come anti-neoplastico.
Finora sono stati reclutati 39 dei 50 pazienti previsti per questo studio; a tutti viene somministrata la terapia antiretrovirale classica; ad una metà di loro viene somministrato anche il vorinostat e inoltre anche due vaccini che dovrebbero rafforzare il sistema immunitario nella sua lotta contro l’HIV.
Insomma, se fino ad oggi l’obiettivo della terapia anti-retrovirale era di far scomparire il virus dal sangue, facendo star bene il paziente e proteggendo i contatti dal contagio, questo protocollo terapeutico di nuova generazione mira molto più in alto, cioè alla completa eradicazione del virus, stanandolo dai suoi
reservoir immunitari, senza limitarsi solo a sopprimerlo e a farlo scomparire dal sangue.
Ce n’è di che entusiasmarsi. Ma forse sarebbe il caso di attendere i risultati definitivi del
trial (previsti nel 2018) e magari la sua pubblicazione in una rivista
peer reviewed. Un obiettivo intanto è stato comunque centrato: far lavorare gomito a gomito Oxford e Cambridge, storiche rivali da oltre 800 anni. E chissà che questa alleanza scientifica non porti davvero ad un risultato storico.
Maria Rita Montebelli