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QS Edizioni - lunedì 16 dicembre 2024

Lavoro e Professioni

Cure primarie. Negli Stati Uniti sempre più affidate agli infermieri. Costano il 30% in meno dei medici e lavorano altrettanto bene

di Maria Rita Montebelli
immagine 18 settembre - Lo scenario dell’assistenza sanitaria nella primary care stelle-e-strisce del futuro è già scritto. I medici sono sempre meno, mentre le università sfornano sempre più infermieri con competenze da practitioner. Ed è lo stesso mercato sanitario a richiederli. Sono competenti, piacciono ai pazienti e costano il 30% circa in meno di un medico di famiglia. 
Il futuro della primary care negli Stati Uniti sarà dominato dagli infermieri con competenze particolari che li avvicinano molto ad un medico di medicina generale, i cosiddetti nurse practicioner (NP). Ne sono certi Thomas Bodenheimer (Center for Excellence in Primary Care, University of California San Francisco) e Laurie Bauer (School of Nursing, UCSF), autori di un articolo della serie Perspective sul New England Journal of Medicine. A questi professionisti della salute se ne affiancheranno altri, i registered nurse, che assumeranno il ruolo di veri e propri manager della salute per quell’esercito di 150 milioni cittadini statunitensi affetti da patologie croniche.
 
Le complessità assistenziali poste da una popolazione sempre più anziana e la gestione delle cronicità impongono un profondo ripensamento delle cure primarie. E non solo oltreoceano ovviamente. Negli Usa i numeri parlano chiaro: ci si sta avviando rapidamente verso una carenza di medici delle cure primarie. Il bilancio è pesantemente negativo perché a fronte di circa 7-500-8.000 new entry l’anno nelle schiere di medici dedicati alle cure primarie (inclusi osteopati e laureati stranieri), il numero di medici di famiglia che vanno in pensione ogni anno arriverà a 8.500 nel 2020. E questo in un contesto di demografia sanitaria sempre più critico dal punto di vista assistenziale: popolazione sempre più anziana e aumento del numero  soggetti coperti da assicurazioni sanitarie.
 
Per contro il numero di nurse practitioner (NP) che è andato ad infoltire la forza lavoro è passato dalle 6.600 unità nel 2003 alle 18.000 del 2014 e gli esperti prevedono che il numero dei NP per le cure primarie aumenterà dell’84% tra il 2010 e il 2025. Seguendo questa tendenza, il numero dei medici dedicati alle primary care si ridurrà dal 71% del 2010 al 60% del 2025 per poi proseguire con questo trend al ribasso. Per contro, nello stesso intervallo di tempo, il numero dei NP dedicato alle cure primarie passerà dal 19 al 29%, soprattutto nelle comunità rurali.
 
Insomma , un numero sempre maggiore di pazienti sarà assistito nel contesto delle cure primarie da un nurse practitioner piuttosto che da un medico di famiglia, ai quali verranno riservati solo i casi più complessi. E non è un salto nel buio perché sono sempre più numerosi gli studi che ‘certificano’ come le cure erogate dai nurse practitioner e la patient-satisfaction siano sovrapponibili a quelle dei medici. Ma con un vantaggio: quello dei costi più contenuti. Gli iscritti a Medicare assistiti da un NP costano il 29% in meno in cure primarie e generano costi per visite ambulatoriali e ricoveri inferiori del 11-18% rispetto a quelli assegnati ad un medico.
E per venire incontro alle inevitabili criticità di questa nuova professione, stanno nascendo in tutti gli USA dei tirocini intensivi per NP della durata di un anno per assistere i neolaureati nella transizione dai banchi di scuola alla pratica clinica.
 
Ma in ogni caso, affermano gli autori dell’articolo, il rapporto tra medici o NP per le cure primarie  e popolazione è destinato a ridursi, visto che solo il 50% dei NP e il 32% dei medici scelgono di dedicarsi alle cure primarie. Di conseguenza bisognerà pensare ad introdurre ulteriori figure sanitarie per la gestione di condizioni croniche e sindromi geriatriche. Figure che negli USA potrebbero essere rappresentate dalle registered nurse (RN). Tre i ruoli che le RN saranno chiamati a rivestire nel nuovo panorama dell’assistenza sanitaria: aiutare i soggetti affetti da condizioni croniche a modificare lo stile di vita e definire adeguamenti posologici dei loro trattamenti (ad esempio per ipertensione o diabete), seguendo i protocolli definiti dai loro medici; guidare dei team per la gestione di cure complesse nell’ottica di migliorare le cure e ridurre i costi per i pazienti con varie condizioni comorbili; traghettare la gestione dell’assistenza tra ospedale e  territorio.
 
E intanto già nel 2015 il 43% dei medici statunitensi già si avvaleva di queste infermiere care manager per la gestione dei pazienti con cronicità. Quella delle RN è dunque un’altra professione sanitaria in pieno boom, con numeri destinati ad aumentare del 33% tra il 2012 e il 2025. E le università hanno intercettato questa domanda passando da 69.000 RN laureate nel 2001 alle 200.000 del 2014. Gli unici ostacoli restano quello di come quantificare il pagamento di queste prestazioni e dell’introduzione di corsi di formazione ad hoc nel curriculum universitario per la gestione della cronicità in contesti non ospedalieri. Ma ci si sta attrezzando rapidamente perché la domanda è pressante.
 
Maria Rita Montebelli
18 settembre 2016
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