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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Scienza e Farmaci

I nuovi farmaci anti-diabete proteggono il cuore come le statine

immagine 14 settembre - I risultati dello studio EMPA-REG OUTCOME, disegnato per dimostrare la safety dell’empagliflozin, dimostrano che questo inibitore di SGLT2 ha una marcia in più nel proteggere dalle complicanze e dalla mortalità cardiovascolare una popolazione di pazienti diabetici ad alto rischio cardiovascolare. Significativi anche i dati sulla protezione renale
Ogni 6 secondi una persona muore di diabete nel mondo. Questa condizione, dalle dimensioni di una pandemia, nel 2015 ha assorbito 673 miliardi di dollari dai budget sanitari di tutto il mondo, ma le proiezioni prevedono che  nel 2040 saranno ben 802 i miliardi di dollari ad essere sacrificati sull’altare del diabete. O meglio delle sue complicanze. Il diabete aumenta infatti di 2-4 volte il rischio di malattie cardiovascolari e di ictus e del 50% quello di insufficienza renale cronica fino alla dialisi.
 
Obiettivi della terapia anti-diabete sono quelli di ridurre i sintomi di questa condizione, morbilità e mortalità ad essa correlate, di prevenirne le complicanze acute e croniche, di migliorare la qualità di vita.
 
“Finora – afferma il professor Merlin Thomas, del Baker IDI Heart and Diabetes Institute, Australia – abbiamo avuto a disposizione farmaci anti-diabete efficaci nel mantenere un buon compenso glicemico e nel prevenire le complicanze microvascolari, ma poco efficaci nel ridurre le complicanze macrovascolari e la mortalità. Finalmente abbiamo oggi a disposizione farmaci, come l’empagliflozin, capaci di ridurre anche la mortalità nei pazienti con diabete”.
 
L’empagliflozin,  un inibitore di SGLT-2, è un farmaco che agisce riducendo il riassorbimento di glucosio da parte del rene, portando ad eliminare giornalmente l’equivalente dello zucchero contenuto in due lattine di cola, e con esso i chili di troppo. Questo farmaco ha tuttavia anche una serie di effetti ancillari, quali la riduzione dei trigliceridi e della pressione arteriosa, che contribuiscono a ridurre il rischio di eventi e di mortalità cardiovascolare in maniera estremamente significativa  e inedita per un farmaco anti-diabete.  Lo studio EMPA-REG OUTCOME pubblicato lo scorso anno sul New England Journal of Medicine ha dimostrato infatti che l’empagliflozin riduce la mortalità per cause cardiovascolari del 38%, quella per tutte le cause del 32% e i ricoveri per scompenso cardiaco del 35%.
 
Ogni 39 pazienti trattati per 3,1 anni con questo farmaco, si riesce ad evitare un decesso (NNT 39). Per avere un’idea di quanto forte sia questo dato è sufficiente paragonarlo ai numeri delle statine. Nello studio 4S, il numero di pazienti da trattare per 5 anni con simvastatina per evitare un decesso è risultato pari a 30 (NNT 30).
 
Per la prima volta insomma un farmaco anti-diabete mostra delle performance cardiovascolari paragonabili addirittura a quelle delle statine, capisaldi della prevenzione di queste malattie. Ma non solo. “Osservando le curve di mortalità relative ai soggetti trattati con empagliflozin, rispetto ai controlli – spiega Robert Chilton, professore associato di medicina, divisione di cardiologia dell’Università del Texas (USA) – è possibile notare che le due curve si separano molto precocemente dall’inizio della terapia con questo SGLT-2 inibitore, mentre nel caso delle statine è necessario attendere 12-24 mesi di trattamento prima di veder divergere le curve di mortalità rispetto ai controlli”.
 
Proteggere il cuore è fondamentale, ma non è tutto. Come ricorda anche lo slogan della Giornata mondiale del rene di qualche anno fa: ‘Proteggi i tuoi reni, salva il tuo cuore’. “La disfunzione renale nei soggetti con diabete – ricorda Thomas – aumenta nettamente il rischio di mortalità. Per questo è importante disporre di farmaci anti-diabete con un effetto protettivo sui reni. E anche da questo punto di vista l’EMPA-REG OUTCOME è foriero di buone notizie: l’analisi dei dati sul rene pubblicata a fine luglio sul New England Journal of Medicine dimostra che l’empagliflozin rispetto al placebo in tre anni di trattamento riduce del 39% l’incidenza di un peggioramento della nefropatia (progressione a macroalbuminuria, raddoppio dei livelli di creatininemia, inizio della terapia renale sostitutiva o mortalità per malattia renale) nei soggetti con diabete di tipo 2 ad elevato rischio cardiovascolare”.
 
Un risultato d’importanza tutt’altro che secondaria, visto che il 35% dei soggetti con diabete è destinato ad andare incontro a insufficienza renale e che la metà circa dei pazienti in dialisi è rappresentata da diabetici.
L’empagliflozin, farmaco derivante da un principio attivo estratto dalla corteccia del melo, si propone insomma come valido sostituto della famosa ‘mela al giorno che toglie il medico di torno’ e inaugura una nuova era nel trattamento del diabete di tipo 2.
14 settembre 2016
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