(Reuters Health) - Recenti evidenze di uno studio statunitense indicano che un adolescente su tre sperimenta un’esacerbazione dei sintomi dopo una commozione cerebrale.”Lo studio che abbiamo condotto – dichiara
Danny G. Thomas, dell’ospedale pediatrico di Milwaukee – suggerisce che l’attività fisica e mentale riprese precocemente potrebbero far peggiorare la sintomatologia.Abbiamo voluto indagare questa ipotesi e in effetti siamo rimasti sorpresi da quanto frequenti siano questi picchi di peggioramento”. Le linee guida avvertono che i bambini rispetto agli adulti hanno bisogno di un periodo di riposo più lungo dopo un trauma cranico in quanto il loro cervello in via di sviluppo è più vulnerabile ai traumi.
Lo studio
Il team di ricercatori ha esaminato i dati di 63 ragazzi tra gli 11 e i 18 anni che erano stati in cura per una commozione cerebrale. E’ stato osservato che i ragazzi più soggetti a improvvise riacutizzazioni dei sintomi erano quelli con una ripresa più lenta. Tuttavia queste esacerbazioni sembrano risolversi nel giro di 24 ore e non avevano un impatto sul recupero a distanza di giorni. Fattore predittivo della riacutizzazione dei sintomi era l’aumento dell’attività mentale il giorno precedente al picco. “Una modesta attività fisica e mentale non peggiora i sintomi, ma un impegno più intenso, come il rientro a scuola, può invece aumentarli – ha detto Thomas – In questo modo i medici possono rassicurare i genitori sul fatto che con il tempo le cose miglioreranno”. E’ necessario che i sintomi siano sotto controllo; per questo più che un rigoroso riposo prolungato è opportuno modificare le attività quotidiane, al fine di rendere più gestibile la sintomatologia.
“Sono necessari ulteriori e più approfonditi studi per capire quanto e come l’attività fisica e mentale possano essere benefiche in questi casi”, ha sottolineato il medico sportivo
Anthony P. Kontos dell’Università di Pittsburgh. I medici consigliano di evitare l’eccesso di valutazioni cliniche che potrebbero avere un effetto contrario, nel senso che chiedendo ripetutamente ai ragazzi notizie sui loro sintomi, li si indurrebbe a fissare l’attenzione sui loro disturbi, con una possibile esacerbazione degli stessi.
Fonte: JAMA Pediatrics
Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)