Fino a qualche anno fa, la possibilità di supportare le decisioni dei medici offrendo loro sistemi computerizzati basati sulle evidenze e integrati con la cartella elettronica era un’ipotesi pressoché inesplorata nella realtà italiana. Oggi due sperimentazioni randomizzate offrono un’importante prova di fattibilità e si apprestano a fare luce sull’utilità di questi strumenti nel migliorare la qualità delle cure erogate.
Niente di più che un bottone nella cartella clinica elettronica dell’ospedale: basta premerlo e l’intera letteratura scientifica viene in aiuto del clinico alle prese con la cura del paziente. Passando in rassegna nel giro di pochi secondi migliaia di documenti elettronici, trial, revisioni sistematiche e linee guida, il software di supporto decisionale produce una sintesi organizzata delle interazioni e suggerisce le correzioni necessarie al dosaggio dei farmaci o le possibili modifiche della terapia. E ancora, controlla in tempo reale la diagnosi, la terapia, gli ultimi monitoraggi e segnala eventuali incongruenze. Una “second opinion” autorevole e istantanea in grado di far presente, per esempio, che il paziente potrebbe rispondere in maniera ottimale a un farmaco diverso da quello scelto dal medico, il quale difficilmente avrebbe potuto esserne consapevole, a meno di non aver monitorato giorno per giorno la letteratura mondiale su quel farmaco e su quella tipologia di paziente.
Il programma di ricerca CODES valuta l’efficacia di un sistema di supporto decisionale computerizzato (SSDC) rivolto ai professionisti sanitari. Cofinanziato dal Ministero della Salute e da Regione Lombardia e condotto da un gruppo multidisciplinare di ricercatori, è il primo progetto di questo tipo in Italia e una delle più ragguardevoli esperienze a livello internazionale per quanto riguarda le dimensioni del campione. Nell’ambito del progetto, due trial sono attivi presso l’ospedale di Vimercate e presso
l’IRCCS IRTS di Meldola, istituto oncologico di riferimento per l’intera Romagna. Si tratta di due strutture particolarmente avanzate sul fronte dell’infrastruttura tecnologica, i cui reparti sono dotati di cartelle cliniche elettroniche compiutamente codificate, che consentono l’integrazione con il sistema di supporto decisionale. A oggi, le due sperimentazioni insieme hanno randomizzato oltre diecimila pazienti, ma i ricercatori puntano ad arruolarne più del doppio, conquistando un posto di primo piano nel panorama internazionale dei grandi studi clinici in questo campo.
“I SSDC sono software in grado di supportare i medici e i professionisti sanitari nel momento in cui sono chiamati a prendere una decisione circa la salute del paziente, offrendo loro un secondo parere autorevole, basato sulle migliori evidenze disponibili in letteratura”, spiega il responsabile del progetto
Lorenzo Moja, ricercatore dell’Università degli Studi e titolare dell’Unità di Epidemiologia Clinica dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. “I modelli di SSDC più avanzati lavorano in integrazione con la cartella clinica elettronica e sono in grado di associare i dati del paziente con le informazioni derivanti dai principali database biomedici internazionali restituendo, sotto forma di messaggi guida, informazioni personalizzate basate sulle migliori prove di efficacia”.
Fino a poco tempo fa, le questioni riguardanti le modalità di accesso ai SSDC, le procedure di integrazione tecnologica e la successiva diffusione presso i clinici, ma anche tutti gli aspetti preliminari legati alle condizioni contrattuali e di coordinamento necessarie per l’implementazione di sistemi ICT interni e esterni all’ospedale, erano argomenti di discussione solo futuribili, come pure l’ipotesi di una verifica dell’eventuale utilità dello strumento. “Benché da tempo, infatti, questo tipo di supporto sia entrato nel numero degli interventi potenzialmente più efficaci per incrementare l’appropriatezza dei comportamenti dei professionisti e la qualità della pratica clinica, favorendo il miglioramento dei sistemi sanitari, e benché all’estero si registrino alcune esperienze virtuose in questo senso, nessun ospedale italiano ne aveva fino a qualche mese fa avuto esperienza diretta”, osserva
Oriana Nanni, direttore dell’Unità di Biostatistica e Sperimentazioni Cliniche dell’IRCCS IRST di Meldola.
Le due sperimentazioni hanno dato l’opportunità a due ospedali italiani, dalla diversa vocazione ma caratterizzati da un analogo percorso di crescente maturazione sotto il profilo informatico e organizzativo, di offrire ai medici un evoluto navigatore per la salute. “Il sistema riguarda la diagnosi, le terapie, le interazioni, alcuni suggerimenti per aumentare l’efficienza organizzativa: quel che si definisce un supporto a 360 gradi”, aggiunge
IIkka Kunnamo, editor in chief di EBM Guidelines, il software prodotto dalla società editrice dei medici finlandesi da cui deriva MediDSS, la versione italiana sviluppata da MEDILOGY, impiegata nei trial CODES.
L’integrazione di un SSDC costituisce il passaggio di più difficile attuazione nel contesto delle dotazioni ICT di un ospedale. Richiede infatti la piena integrazione di tutti i dati informativi relativi alle cure e ai servizi erogati, mappati e resi disponibili a un servizio esterno all’ospedale, che a sua volta si integra con altre banche dati internazionali. “Il SSDC rappresenta la piena internazionalizzazione delle cure in un contesto locale. A oggi, meno dell’1% degli ospedali europei raggiunge il livello di maturità necessario per condividere dati e informazioni a vantaggio dell’attività clinica. Ciò nondimeno, nei prossimi anni all’interno dei sistemi sanitari nazionali sarà necessario un generale adeguamento da parte delle singole strutture”, conclude
Hernan Polo Friz, medico internista all’ospedale di Vimercate.
Il primo esito dello studio CODES è proprio quello di aver portato due ospedali italiani nell’élite delle strutture europee più avanzate sul fronte della dotazione tecnologica e del ricorso quotidiano alle migliori evidenze scientifiche.
Francesca Ruggiero
Università degli Studi di Milano