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QS Edizioni - giovedì 28 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Dolore cronico: diagnosi e cure arrivano ancora troppo tardi

immagine 20 maggio - Per la maggior parte delle persone passano più di quattro anni prima che ci si rivolga a un centro specializzato in diagnosi e trattamento del dolore. E in alcuni anni si superano i 20 anni. Anche se l'intensità del dolore è quasi insopportabile. È quanto emerge da un’indagine dell’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (Onda) sul dolore neuropatico, presentata oggi a Milano.
Le persone, soprattutto donne, che convivono con un dolore cronico di varia natura sono numerose e in molti casi arrivano con forte ritardo al corretto inquadramento diagnostico e a un trattamento appropriato, sempre che si trovi la via giusta. Si comincia a parlare di dolore cronico quando dura da più di sei mesi senza che le cure mediche o chirurgiche l’abbiano alleviato; le cause sono diverse, da emicrania, artrosi, ernie e protrusioni, neuropatie, traumi e varie patologie fino ai tumori. La sofferenza è fisica ma anche psichica e le ripercussioni sulla vita quotidiana possono essere pesanti, con impatto sociale e sanitario.
In Occidente patiscono dolore cronico circa 12 milioni di persone, più donne che uomini e in crescendo con l’aumentare dell’età. Significativi di un modo spesso inadeguato di affrontare il problema i risultati di un’indagine dell’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (Onda) sul dolore neuropatico, presentati a Milano. La ricerca è stata condotta su 400 pazienti (un quarto con dolore neuropatico), 66% donne e 34% uomini, età da 24 a 82 anni, afferenti all’U.O. di Medicina del dolore della Fondazione Maugeri di Pavia, in metà dei casi inviati da altri specialisti e in un terzo dal loro medico di famiglia.

“Il dolore neuropatico, da lesione o da patologia del sistema nervoso, è costante, spesso quotidiano, e può essere devastante”, specifica il direttore dell’U.O. Cesare Bonezzi. “Nell’indagine colpisce il dato che il dolore prima della visita presso il centro durava in media da 56 mesi (oltre quattro anni), con punte di 276 (23 anni). Inoltre si trattava di dolore d’intensità in media dell’8,07, in un range da 5 a 10 della relativa scala, con il massimo corrispondente a insopportabile”. Il dolore neuropatico, presente nel 26% dei casi cioè più del 16% circa del dato nazionale, trattandosi qui di un centro di riferimento, era più frequente nelle donne, 58% contro il 42% degli uomini. Nelle prime era maggiore l’incidenza di polineuropatie e radicolopatie, per esempio patologia pelvico-perineale, neuropatia tiroidea, dolore al trigemino, bruciore della mucosa orale, nei secondi invece con prevalenza di lesioni traumatiche da lavoro o da incidenti stradali e forme post-ischemiche; con poche differenze di genere neuropatia post-erpetica e diabetica. Per il 25% dei pazienti il dolore cronico aveva avuto conseguenze importanti emotive o psichiche e lavorative, in molti casi con impossibilità di continuare a lavorare. Quanto ai trattamenti precedenti erano con varie categorie di farmaci (Fans, paracetamolo, oppiacei, antidepressivi, benzodiazepine, corticosteroidi, miorilassanti, antiepilettici) ma anche non farmacologici nel 65% dei casi (terapia fisica, ionoforesi, agopuntura, blocchi antalgici, chirurgia). “E’ preoccupante che solo il 2% dei malati sia seguito da un medico specializzato nella cura del dolore” continua Bonezzi. “Ci sono trattamenti anche innovativi, come pace-maker ed eletrodi peridurali e in campo farmacologico il cerotto alla capsaicina che sta per essere disponibile. Ma il farmaco non basta, occorre gestire anche psicologicamente questi pazienti che spesso hanno già un substrato di vulnerabilità: forse per questo sono di più le donne per questioni ormonali, basti pensare alla menopausa”. Le donne spesso sottovalutano i sintomi e questo porta al peggioramento e al ricorso tardivo a diagnosi e cure.
 
“E’ basilare che in questi casi l’approccio sia multidisciplinare”, interviene Ivano Dones, specialista in neurologia e neurochirurgia dell’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano. “Per questo è necessaria sia la collaborazione tra diverse figure mediche sia la conoscenza da parte della popolazione, e anche dei medici, dell’esistenza di diverse opportunità terapeutiche. “Invece riceviamo malati che hanno una storia clinica di dolore lunghissima, che hanno peregrinato senza sapere dove e a chi rivolgersi per risolvere e gestire il problema: questo spesso ha già segnato il soggetto, con ripercussioni quali depressione e perdita del lavoro; perciò la valutazione del paziente dev’essere anche un po’ psicologica. Non ci sono linee guida sui trattamenti, comunque ci sono due grandi categorie di procedure: da un lato quelle riparative (come decompressione nervosa) o lesive (oggi sempre più abbandonate, come rizotomie), dall’altro la neuromodulazione, farmacologica ed elettrica (stimolazione epidurale, corticale, sottocutanea,talamica; infusione intratecale di morfina), con il vantaggio della reversibilità”. Risultati come quelli dell’indagine dell’Onda dipendono anche da criticità nel trattamento legate all’attuale sistema assistenziale settoriale-specialistico, come sottolinea Pierangelo Lora Aprile, responsabile nazionale della Simg-area Cure palliative e Medicina del dolore. “In una ricerca che avevamo condotto su 6000 persone giunte nei nostri studi lamentando dolore cronico avevamo ottenuto dati simili, rilevando a volte una certa confusione dei Mmg sul dolore neuropatico che veniva classificato come tale in oltre il 35% dei casi, cioè molto più del dato nazionale. Perciò abbiamo redatto un documento con i colleghi del Maugeri e altri, recepito dal Ministero e usato per corsi formativi per ora tenuti sperimentalmente in quattro regioni. Importante è stata poi la recente legge 38/2010 su Cure palliative e terapia del dolore, che evidenzia tra l’altro la necessità di creare reti, cioè coinvolgere la persona da assistere in una gestione integrata tra il comparto delle Cure primarie e le specialistiche, in un’ottica di continuità di cura. Così si può forse arrivare a evitare percorsi che magari durano 56 mesi prima che il paziente trovi le soluzioni, come visto nell’indagine…”. Insomma le terapie giuste ci sono e vanno usate nel paziente giusto, dopo essere stato inquadrato correttamente sul piano diagnostico. Non è solo questione di terapia, però, di farmaci e chirurgia, eventualnente terapia fisica, agopuntura, sostegno psicologico: anche in questo caso possono avere un influsso predisponente abitudini di vita scorrette, cioè inattività fisica, eccessi alimentari, fumo e abuso di alcol. Intanto, a proposito di dolore cronico, per il 29 maggio è proclamata la decima Giornata del sollievo, con centri in tutt’Italia premiati da Onda con il Bollino rosa per la loro sensibilità al femminile, che offrono la possibilità di visite gratuite, informazioni e consigli sul tema.
 
Elettra Vecchia
    
 
20 maggio 2011
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