Il Ramadan, nono mese del calendario musulmano, è appena iniziato e come tutti sanno è caratterizzato dal digiuno rituale. Per tutta la sua durata (29-30 giorni) è proibito consumare cibi e bevande, ma anche medicazioni orali e iniettive, dall’alba al tramonto. A seconda della stagione e dell’area geografica, i periodi di digiuno possono durare fino a 20 ore consecutive. La regola vale per tutti, ma possono essere esentati i portatori di alcune condizioni mediche, come il diabete. E si stima che siano 148 milioni i musulmani con diabete nel mondo.
Nonostante la possibilità di evitare il digiuno, molte persone con diabete (oltre il 90% dei pazienti con diabete di tipo 2 e il 40% dei tipo 1 fanno almeno 15 giorni di digiuno durante il Ramadan) decidono di seguire in maniera rigorosa i dettami del Ramadan, uno dei cinque pilastri dell’Islam.
Mentre nei soggetti in buona salute il Ramadan rappresenta un’ottima opportunità per perdere peso, migliorare il profilo lipidico e smettere di fumare, nelle persone con diabete il digiuno prolungato può causare gravi alterazioni dei meccanismi di omeostasi glucidica, in particolare nei soggetti con diabete di tipo 1. Questo li pone a rischio di una serie di complicanze quali ipoglicemia (il rischio aumenta di 4,7 volte nel tipo 1 e di 7,5 volte nel tipo 2 durante il Ramadan), iperglicemia e complicanze metaboliche varie fino alla chetoacidosi diabetica. Molto concreto è anche il rischio di disidratazione e di trombosi; un’indagine condotta in Arabia Saudita ha rivelato ad esempio che 30% di tutti i casi di trombosi venosa retinica si verifica durante il Ramadan.
Alla luce di queste constatazioni, l’
International Diabetes Federation (IDF) e il
Diabetes and Ramadan (DAR)
International Alliance hanno messo a punto delle
linee guida sull’argomento, fatte di raccomandazioni pratiche per medici e pazienti, volte a minimizzare i rischi per i musulmani con diabete che decidano di attenersi ai riti del digiuno durante il Ramadan. Nelle linee guida viene comunque ricordato a chiare lettere che i medici devono comprendere le differenze regionali e culturali per consigliare in maniera appropriata i loro pazienti.
Le categorie di rischio. Il Gran Mufty d’Egitto, la più alta autorità religiosa di questo paese, ha approvato una nuova classificazione, stilata da IDF-DAR che definisce tre categorie di rischio tra i diabetici: altissimo, alto, basso-moderato. Alla prima categoria appartengono i pazienti che abbiano presentato episodi di ipoglicemia severa, chetoacidosi diabetica, coma iperglicemico iperosmolare nei tre mesi prima del Ramadan, donne in gravidanza con diabete, soggetti in dialisi o con insufficienza renale terminale, pazienti con malattie acute, anziani fragili. Alla categoria ad alto rischio appartengono i soggetti con diabete di tipo 2 poco controllato o in trattamento insulinico, i tipo 1, quelli con insufficienza renale di stadio 3, con complicanze macrovascolari, quelli con diabete di tipo 2 che facciano lavori pesanti e quelli in trattamento con farmaci che possono alterare le loro funzioni cognitive. Queste due categorie di rischio dovrebbero essere assolutamente dissuase dal praticare digiuni prolungati. Ed è fondamentale trasmettere loro il pensiero che non devono sentirsi in colpa se non possono digiunare.
Educare il paziente. Come sempre nel diabete, l’educazione gioca un ruolo fondamentale. In questo caso, l’educazione del paziente nel periodo pre-Ramadan è una componente essenziale della gestione del diabete. Al paziente vanno trasmesse informazioni sulla quantificazione del rischio, sull’importanza dell’automonitoraggio, della dieta, esercizio fisico, adeguamento del trattamento anti-diabete, sul riconoscimento dei sintomi delle complicanze e soprattutto su quando è assolutamente necessario interrompere il digiuno per prevenire un danno.
Adeguare i farmaci anti-diabete al digiuno.La decisione di un individuo con diabete di tipo 1 di digiunare durante il Ramadan dovrebbe essere rispettata. Alcune evidenze suggeriscono che, purché in condizioni di stabilità e in buona salute, è possibile farlo. Ma sotto stretta supervisione medica e dopo un programma di educazione focalizzato al controllo dei livelli glicemici. Il divieto di digiunare dovrebbe restare assoluto per le donne diabetiche in gravidanza, che potrebbero con questa pratica procurare grave nocumento a se stesse e al feto. Quanto alla maggior parte delle persone con diabete di tipo 2 – concludono le linee guida – con i giusti consigli e supporti da parte del medico curante, possono digiunare tranquillamente durante il mese sacro. Per quanto riguarda le terapie, i nuovi ipoglicemizzanti orali sono di certo più sicuri delle vecchie sulfaniluree in questo periodo, mentre bisogna essere prudenti con gli inibitori di SGLT2.
Maria Rita Montebelli