(Reuters Health) - “Conoscere questi effetti è importante affinché il paziente faccia una scelta informata, dal momento che l’impianto del defibrillatore è un trattamento a vita”, spiega
Isuru Ranasinghe del Queen Elizabeth Hospital dell’Australia del Sud.
Per lo studio, i ricercatori australiani hanno analizzato i dati del Registro Nazionale americano degli ICD dell’American College of Cardiology Foundation e il registro di Medicare, per valutare i rischi non fatali correlati alle complicanze dell’impianto. In totale, sono stati presi in considerazione 114.484 pazienti di 1.437 Centri statunitensi che si sono sottoposti per la prima volta all’impianto di un defibrillatore. Gli apparecchi impiantati includevano quelli del tipo ‘single-chamber,’ installati nel 19,8% dei casi, quelli ‘dual-chamber’, utilizzati per il 41,3% dei pazienti, e i defibrillatori per la terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT-D), eseguita sul 38,9% dei pazienti. Tutte le persone sono state seguite per una media di 2,7 anni, mentre 40.072 sono decedute in questo periodo, circa 12,6 morti ogni 100 pazienti, l’anno. Di questi, “una quota pari a 6,1 ogni 100 pazienti l’anno sono deceduti a causa di complicanze correlabili all’ICD, che hanno richiesto un ricovero o un nuovo intervento”, ha sottolineato Ranasinghe. “Inoltre, sono state registrate 3,9 nuove operazioni ogni 100 pazienti l’anno per ragioni diverse dalle complicanze, e normalmente eseguite per sostituire le batterie dell’apparecchio – ha spiegato il ricercatore – un intervento che è comunque rischioso per il paziente”.
Le evidenze
Le persone a maggior rischio di complicanze, inoltre, sono state le donne, con il 16% in più di rischio, le persone di origine africana, con colore della pelle nero, con un rischio maggiore del 14%, e i pazienti di età compresa tra 65 e 69 anni, con un rischio maggiore del 55% rispetto ai pazienti con 85 anni o più. Un risultato che, secondo Ranasinghe, richiederebbe un ulteriore approfondimento.Per quanto riguarda gli apparecchi utilizzati, “i pazienti erano a rischio maggiore di complicanze quando veniva impiantato un CRT-D rispetto a uno del tipo a ‘single-chamber’. Inoltre, i pazienti con CRT-D erano quattro volte più a rischio di dover rifare l’operazione per cause diverse dalle complicanze”, ha sottolineato il ricercatore. “L’insorgere di problemi – ha spiegato – rende necessaria una continua sorveglianza del pazienti dopo l’impianto del defibrillatore. Inoltre, l’utilizzo di un apparecchio semplice come quello ‘single-chamber’ sembra ridurre il rischio di danni correlati a ICD”, ha concluso Ranasinghe.
Fonte: Ann Intern Medc 2016
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)