Perché un tumore decida ad un certo punto di dare metastasi, passando dall’essere una malattia localizzata ad una sistemica, è un fenomeno ancora per molti versi misterioso e per il quale non esistono al momento trattamenti in grado di contrastarlo. La prestigiosa rivista
Science dedica a questo argomento un numero speciale, riguardante i vari filoni di ricerca e le diverse angolazioni affrontate per cercare di far luce sul fenomeno mestastasi, nell’intento ovvio di arrivare al più presto ad una risposta terapeutica.
Un nuovo e controverso filone di ricerca riguarda ad esempio gli exomi, vescicole minuscole ripiene di proteine e RNA. I tumori che li secernono sembrano essere in grado di dare più facilmente metastasi, ‘istruendo’ aree distanti dell’organismo a diventare ‘
cancer-friendly’. Si tratta di una teoria non accettata da tutti, comunque al centro dell’attenzione.
Una
review che compare sullo stesso numero a firma di
Samra Turajlic e
Charles Swanton esamina l’evoluzione genetica del tumore a livello delle metastasi. Andare a ricercare le differenze e le somiglianze genetiche tra tumore primitivo e metastasi può aiutare a far luce sull’origine, la strada percorsa, la direzione presa e la tempistica della diffusione metastatica.
Un compito reso tuttavia difficile dall’eterogeneità del tumore primitivo, all’interno del quale si trovano cellule geneticamente distinte e che richiede dunque l’esecuzione di biopsie in sedi diverse del tumore. Gli autori ricordano anche cosa hanno insegnato finora gli studi ‘filogenetici’, condotti cioè attraverso diverse tipologie di tumore. I dati acquisiti finora suggeriscono che le cellule in grado di dare metastasi possono emergere sia precocemente nella genesi del tumore (il cosiddetto ‘modello di progressione parallela’) sia tardivamente (il cosiddetto ‘modello di progressione lineare’). Alcuni elementi indicano inoltre che le cellule derivate dal tumore primitivo possono comportarsi sia in maniera ‘competitiva’, che in modo ‘cooperativo’ durante il processo di formazione delle metastasi, arrivando a volte addirittura a ‘ricolonizzare’ il tumore primitivo. In generale queste osservazioni derivano tuttavia da studi su un piccolo numero di pazienti e andrebbero confermate da lavori su più ampia scala.
Un’altra
review scritta da
Erinn Rankin e
Amato Giaccia fa il punto su tutti gli studi condotti sul ruolo dell’ipossia nel promuovere i vari
step della cascata metastatica. Da un punto di vista clinico, sia l’ipossia, che l’espressione di HIF-1 e HIF-2 (
hypoxia-inducible transcription factor) risultano associati a un aumento di metastasi a distanza e ad una prognosi sfavorevole. L’ipossia è infatti un potente fattore micro ambientale nel promuovere le metastasi. Le cellule tumorali possono sfruttare il
pathway di segnale dell’ipossia, indotto da HIF, per adattarsi ai diversi microambienti che incontrano nel fare metastasi. Le cellule tumorali possono anche utilizzare il segnale HIF per ‘manipolare’ le cellule immunitarie circostanti, naturalmente a tutto vantaggio del tumore. Le cellule tumorali possono infine utilizzare l’HIF per creare una nicchia favorevole alle metastasi, in sedi quali l’osso.
Gli autori ricordano anche un recettore per la tirosin chinasi (l’AXL) di recente individuazione, che sembra rappresentare un mediatore critico nel processo di metastasi e di invasione dipendenti da HIF; la buona notizia è che AXL per le sue caratteristiche rappresenta dunque un interessante potenziale
target terapeutico per la malattia metastatica.
Un altro
articolo Kevin Cheung e
Andrew Ewald ricorda recenti studi che suggeriscono come, nei diversi stadi della cascata metastatica, le cellule tumorali agiscano in maniera ‘collettiva’, piuttosto che come singole cellule (che è poi la teoria corrente). Recenti ricerche su modelli murini sembrano infatti indicare che le cellule tumorali invadono i tessuti ‘in branco’ (
cluster), circolano nel sangue ‘in gruppo’ e si disseminano in siti distanti ‘in gruppo’.
Thomas Tütinge
Karin de Visser in un altro
articolo trattano del ruolo giocato dai neutrofili nelle metastasi. I neutrofili, cellule immunitarie deputate a proteggerci dalle infezioni batteriche e a facilitare la guarigione delle ferite, di frequente si accumulano nei pazienti oncologici e risultano associati alle metastasi. Alcuni studi hanno svelato che l’accumulo dei neutrofili nei tessuti precede l’arrivo delle cellule tumorali metastatiche e che questo accumulo viene avvito da segnali prodotti dal tumore primitivo. Gli autori discutono dunque le possibili strategie per inibire i neutrofili, dimostratesi di successo in studi animali e sottolineano che l’associare terapie in grado di interferire con queste cellule immunitarie alle terapie anti-tumorali ‘classiche’ potrebbe rappresentare una valida strategia per contrastare le metastasi.
Infine, migliorare la conoscenza dei meccanismi alla base dello sviluppo di resistenza ai farmaci da parte del cancro rappresenta una priorità di ricerca. Uno
studio di
Tirosh e colleghi utilizza la tecnologia di sequenziamento di singola cellula per esaminare l’intero spettro dei tipi cellulari presenti nel melanoma metastatico. In questo modo l’autore è arrivato a individuare un sottotipo di cellule che sviluppa resistenza ai farmaci. Come gli altri tumori solidi, anche il melanoma rappresenta un ‘ecosistema’ che contiene non solo cellule maligne, ma anche cellule senza caratteristiche di malignità, quali fibroblasti e una serie di cellule immunitarie. Questo studio ha analizzato i profili RNA di 4.645 cellule maligne, immunitarie e stromali isolate da 19 tumori di pazienti affetti da melanoma metastatico. In questo modo i ricercatori sono riusciti a identificare 229 geni a più elevata espressione nelle cellule tumorali di una determinata regione, rispetto a quelli di altre regioni tumorali. Non solo la collocazione di una cellula tumorale, ma anche il suo livello di esposizione alle terapie antitumorali sono in grado di influenzare l’espressione di questi geni. AXL è un marcatore associato alla resistenza al trattamento e gli autori dello studio hanno dimostrato che, prima dell’inizio della terapia, le cellule tumorali con elevata espressione di AXL si trovano a contatto con cellule che esprimono questo marcatore in bassi livelli. Tuttavia, le biopsie ripetute dopo la somministrazione del trattamento rivelano un aumentata espressione di AXL anche a carico delle cellule che precedentemente lo esprimevano a bassi livelli. Questo sottolinea l’importanza sia della composizione cellulare che della comunicazione tra cellula e cellula nel definire il comportamento del tumore.
Harold Varmus, nel suo editoriale, si augura che le iniziative di recente intraprese dal governo degli Stati Uniti e volte ad aumentare i finanziamenti per le ricerche in questo campo, saranno di enorme aiuto per il trattamento delle forme avanzate di tumore. Tuttavia, ammonisce l’autore - non bisogna trascurare quello che accade all’estremo opposto dello spettro , cioè sul fronte della prevenzione. Tra i suoi suggerimenti, quello di allocare maggiori risorse nelle cure preventive e nel rimborso della diagnosi molecolare dei tumori. Tutto ciò “aumenterebbe molto i dati disponibili per le analisi, consentirebbe di accelerare l’interpretazione dei profili genetici e rappresenterebbe inoltre un test sul campo per la condivisione delle informazioni cliniche”.
Maria Rita Montebelli