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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Alla ricerca di un nuovo biomarcatore per prevedere il rischio di infarto nelle donne

di Maria Rita Montebelli
immagine 2 marzo - Alcuni lipidi rilasciati dalle placche aterosclerotiche a rischio, rappresenteranno forse un giorno uno strumento prezioso per intercettare gli eventi cardiovascolari acuti prima che si verifichino. Una ricerca appena varata dall’Università di Louisville negli Stati Uniti tenterà di scoprire se i fosfolipidi ossidati presenti in circolo potranno aiutare i medici ad individuare le donne ad elevato rischio di infarto, per poter intervenire prima che si verifichi il danno.
La cardiopatia ischemica  rappresenta ormai la principale causa di morte nelle donne nei Paesi occidentali; il ‘sorpasso’ delle donne nelle curve di mortalità per queste patologie rispetto gli uomini è avvenuto negli Stati Uniti già negli anni ’80. E mentre negli uomini la mortalità continua a diminuire, le donne si mantengono saldamente in testa a questa triste statistica, in Europa come negli USA.
 
Su questo sfondo ha destato grande interesse l’annuncio fatto da un gruppo di cardiologi della University di Louisville che sostengono di essere sul punto della scoperta del secolo: un biomarcatore che riuscirebbe ad individuare la presenza della patologia cardiaca, molto prima che si manifesti con un infarto.
 
Andrew DeFilippise colleghi passeranno al setaccio delle banche di campioni di sangue provenienti da migliaia di pazienti per studiare se la presenza di alcuni lipidi circolanti sia in grado di individuare le donne a rischio di infarto.
 
“Questo nuovo test è molto promettente – afferma DeFilippis – e riteniamo possa servire ad individuare i soggetti a rischio prima che si verifichi un danno permanente. Potrebbe dunque guidare i medici verso una terapia più a target per le donne a più elevato rischio di infarto.
 
Le placche aterosclerotiche, alla base di eventi quali ictus e infarti, contengono una notevole quantità di fosfolipidi ossidati (OxPL). Il gruppo di DeFilippis ritiene che proprio il rilascio di OxPL dalla placca nel torrente ematico dovrebbe consentire ai medici di individuare le donne a rischio di eventi cardiovascolari. Per testare la sua teoria, il ricercatore americano valuterà l’enorme numero di campioni di sangue raccolti nel corso dello studio MESA (Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis), un trial multicentrico sulle patologie cardiovascolari, che ha coinvolto 6.814 soggetti presso sei città degli USA; a partire dal 2000 sono stati messi da parte dei campioni di sangue prelevati ai soggetti partecipanti allo studio, che sono stati poi seguiti per una decina di anni.
 
“Se il nostro studio confermerà la validità degli OxPL come biomarcatore di malattia cardiovascolare aterosclerotica – afferma DeFilippis - questo aprirà anche la strada alla possibilità dello sviluppo di una classe del tutto nuova di farmaci per il trattamento di queste malattie, da somministrare con grande anticipo rispetto alla comparsa di un evento acuto, nell’ottica appunto di prevenirlo”.
 
Alcuni degli elementi a disposizione oggi per la stratificazione del rischio cardiovascolare sono la pressione arteriosa, i livelli di colesterolemia e la valutazione dello stato di fumatore o meno. Questi fattori di rischio sono utili nel prevedere se un soggetto è predisposto alla formazione di placche ma non sono in grado di rivelare la presenza di placche ad alto rischio. Essendo una componente stessa della placca, gli OxPL potrebbero consentire ai medici di colmare questo gap, individuando i pazienti che albergano queste placche a rischio, capaci di provocare un evento acuto nel prossimo futuro.
“Siamo ancora nella fase della validazione di questo eventuale nuovo biomarcatore – ammette DeFilippis – e la sua introduzione nella pratica clinica potrebbe richiedere molti anni.”
 
 “Siamo fieri di investire in questo studio innovativo – afferma Susan Zabriskie, direttore esecutivo ad interim della Alpha Phi Foundation, che finanzia lo studio di DeFilippis – che potrebbe rivoluzionare la diagnosi di malattie cardiovascolari nelle donne e consentire di trattarle con grande anticipo. In questo modo si potrebbe ridurre l’impatto che queste malattie hanno sulle donne per le generazioni a venire”.
 
Maria Rita Montebelli
2 marzo 2016
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