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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Tumore al seno. Neratinib migliora la sopravvivenza nel tipo HER2-positivo

di Lorraine L. Janeczko
immagine 24 febbraio - Neratinib è il primo trattamento successivo alla chemioterapia a dimostrare una efficacia nell’aumento delle probabilità di sopravvivenza a due anni senza che la malattia sia più presente. Lo studio pubblicato su Lancet Oncology.
(Reuters Health) – Dodici mesi di somministrazione di neratinib dopo una chemioterapia ed il trattamento con l’adiuvante trastuzumab possono migliorare significativamente la sopravvivenza a due anni con assenza della malattia nelle donne con un tumore al seno HER2-positivo. È quanto un nuovo studio condotto in Australia e pubblicato da Lancet Oncology. “La somministrazione dell’inibitore delle tirosin-chinasi neratinib per 12 mesi è il primo trattamento a dimostrare una riduzione statisticamente significativa nelle percentuali di ricorrenza della malattia invasiva nei pazienti con tumore al seno HER2-positivo che hanno già ricevuto trastuzumab e la chemioterapia”, dice la dottoressa Arlene Chan, professoressa ed oncologa della School of Medicine presso la Curtin University a Perth. “I pazienti che hanno già completato o sono prossimi a completare il loro trattamento con trastuzumab e sono considerati ad alto rischio di ricorrenza della malattia possono potenzialmente beneficiare dei risultati del nostro studio”, ha detto.
 
Lo studio
La dottoressa Chan ed i suoi colleghi hanno condotto il trial a doppio cieco di fase 3 multinazionale ExteNET presso 495 centri medici e riportato i loro risultati online il 10 febbraio su Lancet Oncology. Le donne un tumore al seno HER2-positivo dallo stadio 1 al 3 che avevano completato la terapia adiuvante e neoadiuvante con trastuzumab fino a due anni prima potevano essere inseriti nello studio. Circa sette mesi dopo l’inizio dello studio, i ricercatori hanno modificato i requisiti per includere anche i pazienti dallo stadio 2 allo stadio 3 che avevano completato la terapia con trastuzumab fino ad un anno prima. In circa due anni, gli autori hanno assegnato casualmente a 1420 donne una dose di 240mg di neratinib al giorno, e ad altre 1420 il placebo. Il tempo di follow-up medio è stato di 24 mesi in ciascun gruppo. Dopo i due anni, nel gruppo trattato con neratinib si erano verificati 70 casi di sopravvivenza con malattia, in confronto ai 109 casi verificatisi nel gruppo con il placebo (rapporto di rischio stratificato 0,67, p=0.0091).

La percentuale di sopravvivenza senza malattia a due anni era del 93,9% nel gruppo con neratinib e del 91,6% nel gruppo con il placebo. Gli effetti collaterali più comuni di grado 3 e 4 nei pazienti che ricevevano neratinib erano diarrea, vomito, e nausea. Il tratto QT degli elettrocardiogrammi era prolungato in 49 pazienti (3%) che assumevano neratinib ed in 93 (7%) pazienti che assumevano il placebo; la frazione di eiezione ventricolare sinistra (di 2° grado o maggiore) è diminuita in 19 (1%) pazienti che assumevano neratinib ed in 15 (1%) che assumevano il placebo.

Si sono verificati effetti collaterali gravi in 103 pazienti (7%) del gruppo del neratinib, ed in 85 (6%) del gruppo del placebo. Si sono verificati 7 decessi (quattro nel gruppo con neratinib e tre nel gruppo con il placebo) non connessi alle terapie somministrate.

I commenti
La dottoressa Hope S. Rugo, professoressa di medicina presso il University of California San Francisco Helen Diller Family Comprehensive Cancer Center, che è coautrice di un editorial, ha commentato che “la malattia HER2-positiva è particolarmente intricata perché abbiamo migliorato notevolmente le prognosi, ma alcuni pazienti hanno ancora delle ricadute e muoiono”. “Il meccanismo di azione di questi agenti è chiaramente importante”, ha detto. “Un motivo postulato per i risultati sull’efficacia, visto in particolare nei pazienti con stato recettoriale degli ormoni positivo, è che utilizzando un farmaco con un meccanismo di azione alternativo, possiamo riuscire a superare la resistenza che si sviluppa presso le cellule tumorali residue”. La dottoressa Rugo ha poi messo in guardia sul fatto che “neratinib ha una tossicità che non si vede nella somministrazione intravenosa di anticorpi: il neratinib causa una diarrea significativa. Si suppone che una profilassi antidiarroica riduca il sintomo, ma comunque non lo elimini. È fondamentale che la tossicità venga attentamente analizzata e presa in considerazione e che vengano applicate le appropriate misure correttive”. Gli autori sostengono che sia necessario un maggiore follow-up per verificare se il miglioramento nella prognosi del tumore al seno sia mantenuto. “I risultati dei trial in corso su altri agenti anti-HER2 ed anche una maggiore comprensione del modo per selezionare i pazienti che beneficeranno di neratinib sono degli aspetti importanti che devono ancora essere mostrati”, ha concluso la dottoressa Chan.

Fonte: Lancet Oncology

Lorraine L. Janeczko

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
24 febbraio 2016
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