Secondo un nuovo studio scientifico, nei bambini che presentano un difetto cardiaco congenito (CHD) trattato precocemente in maniera chirurgica e contemporaneamente un ritardo nello sviluppo cerebrale potrebbe esistere un collegamento tra le due problematiche. La ricerca*, condotta dal Consorzio di Genetica Pediatrica Cardiovascolare della Harvard Medical School a Boston, è stata appena pubblicata sulla rivista
Science dall’American Association for the Advancement of Science.
In base all’analisi di studi epidemiologici precedenti, gli scienziati hanno stabilito che il rischio di un ritardo del neurosviluppo risulterebbe 10 volte superiore nei bambini che manifestano una malattia cardiaca congenita di grado da lieve a severo. Tale ritardo può includere anche un danno alle funzionalità sociali, del linguaggio e cognitive. Oggi è possibile intervenire precocemente in maniera chirurgica nel caso di una malattia cardiaca congenita nel bambino. Tuttavia, prima di iniziare lo studio, gli scienziati si sono chiesti quali fossero i meccanismi biologici alla base del legame tra le due problematiche, individuando tre possibili ipotesi da analizzare: l’idea che vi sia un legame con l’intervento precoce a cuore aperto, la presenza di difetti cardiaci che possano limitare i nutrienti e l’ossigeno necessario per il feto, la presenza di mutazioni genetiche coinvolte sia nella malattia cardiaca che nel neurosviluppo.
Sulla base di queste ipotesi, i ricercatori hanno sviluppato uno studio su più di 1.200 bambini e sui loro genitori, mostrando un probabile coinvolgimento di mutazioni genetiche, cioè variazioni di alcuni geni, collegate ad entrambe le patologie. “Il nostro studio mostra un collegamento genetico comune nello sviluppo di queste malattie”, ha dichiarato
Jason Homsy, co-autore principale dello studio.
In particolare, in base ai risultati dello studio su
Science, i bambini con malattia cardiaca congenita (CHD) e disturbi del neurosviluppo presentavano numerose
mutazioni de novo in più rispetto ai bambini che avevano solo la malattia cardiaca congenita; le mutazioni
de novo sono variazioni genetiche ‘nuove’, cioè non trasmesse dai genitori, nei quali risultavano assenti.
Solo nel 2% dei casi tali variazioni, nei bambini, risultavano specifiche soltanto della malattia CHD, mentre ben nel 20% dei casi i ricercatori hanno dimostrato che in questi bambini le mutazioni erano associate collettivamente sia alla CHD che ai disturbi del neurosviluppo e anche ad altre anomalie congenite.
Inoltre, tali mutazioni si sono manifestate principalmente nei geni associati a queste tre aree: la ‘morfogenesi’, la ‘modificazione della cromatina’ e la ‘regolazione della trascrizione’. Se uno di questi processi subisce anche una minima ‘perturbazione’ (come ad esempio quella dovuta a una mutazione) nella fase cruciale dello sviluppo, spiegano i ricercatori, il cuore può manifestare una malformazione; inoltre, successivamente, talvolta si possono verificare disturbi nello sviluppo, dovuti ad esempio ad una mancata connessione cerebrale. Tra i geni coinvolti c’è l’
RBFOX2, in precedenza non associato a malattie cardiache congenite, che in base all’indagine odierna presentava in molti bambini mutazioni
de novo multiple.
Mettendo insieme i risultati, gli autori dello studio affermano che questa “sovrapposizione” delle mutazioni genetiche in entrambe le patologie potrebbe permettere in futuro di individuare i pazienti con malattia cardiaca CHD che presentano un rischio aumentato di un disordine del neurosviluppo. “Se riuscissimo ad identificare i bambini ad alto rischio di un ritardo nello sviluppo neurologico, essi potrebbero ricevere un monitoraggio migliore ed interventi precoci in atto da subito”, ha dichiarato la Professoressa
Christine Seidman, co-autore senior dello studio. Tuttavia, ancora la comprensione del meccanismo biologico con cui queste mutazioni genetiche si trasformano in manifestazioni cliniche è ancora una delle molte “domande senza risposta”, spiega Seidman, sottolineando che si tratta di una strada “molto molto lunga. Tuttavia vorremmo credere che, conoscendo le fasi con cui queste mutazioni perturbano la regolazione dell'espressione genica, ci possa essere un modo di trattarle in maniera efficace”.
Viola Rita
*J. Homsy, S. Zaidi, Y. Shen, J. S. Ware, K. E. Samocha, K. J. Karczewski, S. R. DePalma, D. McKean, H. Wakimoto, J. Gorham, S. C. Jin, J. Deanfield, A. Giardini, G. A. Porter, R. Kim, K. Bilguvar, F. Lopez-Giraldez, I. Tikhonova, S. Mane, A. Romano-Adesman, H. Qi, B. Vardarajan, L. Ma, M. Daly, A. E. Roberts, M. W. Russell, S. Mital, J. W. Newburger, J. W. Gaynor, R. E. Breitbart, I. Iossifov, M. Ronemus, S. J. Sanders, J. R. Kaltman, J. G. Seidman, M. Brueckner, B. D. Gelb, E. Goldmuntz, R. P. Lifton, C. E. Seidman, W. K. Chung.
De novo mutations in congenital heart disease with neurodevelopmental and other congenital anomalies.
Science, 2015; 350 (6265): 1262 DOI:
10.1126/science.aac9396
Lo studio è finanziato dai seguenti Istituti: National Heart, Lung, and Blood Institute e dal National Human Genome Research Institute dei National Institutes of Health insieme ad altri Istituti