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QS Edizioni - venerdì 29 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Ictus ischemico acuto: meglio la trombolisi o la trombectomia meccanica? La risposta su JAMA

di Maria Rita Montebelli
immagine 3 novembre - Il trattamento dell’ictus ischemico acuto rimane una pagina ancora in gran parte da scrivere. Non è stato infatti finora possibile ricalcare i successi terapeutici ottenuti nel campo dell’infarto del miocardio e l’ictus continua purtroppo ad essere una malattia temibile soprattutto per i suoi esiti invalidanti. Ma qualcosa si sta muovendo ed è tempo di bilanci, prima di passare a fasi successive. Una metanalisi pubblicata oggi su JAMA confronta i risultati ottenuti con due trattamenti: la trombolisi con tPA per via endovenosa e l’intervento di trombectomia endovascolare.
Il miglior trattamento per l’ictus ischemico? Una metanalisi appena pubblicata su JAMA cerca di trovare una risposta, analizzando i risultati dei trial clinici relativi al trattamento con fibrinolisi e con gli interventi endovascolari. Lo scettro per i tassi più elevati di indipendenza funzionale a 90 giorni va agli interventi endovascolari; ma se si guarda alla mortalità per tutte le cause e alla complicanza condivisa da entrambi gli approcci terapeutici, cioè l’emorragia intracranica, si fa fatica a trovare la differenza.
 
Lo standard attuale di trattamento per l’ictus ischemico acuto è la trombolisi con tPA, una proceduta che migliora sia i tassi di sopravvivenza, che gli esiti funzionali ma che presenta un’importante limitazione. Il tempo utile per la somministrazione del tPA per via endovenosa è infatti di appena 4,5 ore e le controindicazioni a questo trattamento non sono poche. A conti fatti insomma, non più del 10% dei soggetti colpiti da ictus ischemico risultano papabili per questo tipo di trattamento. Alla luce di tutte queste limitazioni è scaturita la necessità di ricercare nuovi possibili trattamenti, fino ad approdare appunto alla soluzione endovascolare. Che l’intervento endovascolare migliori, fino a ripristinare il flusso nelle zone colpite, non c’è dubbio; ma gli studi pubblicati finora hanno dato risultati contrastanti su una serie di outcome.
 
Per questo Saleh A. Almenawer e colleghi della McMasterUniversity (Hamilton, Canada) hanno deciso di andare a fondo alla questione realizzando una metanalisi su 8 studi per un totale di 2.423 pazienti colpiti da ictus ischemico acuto (età media 67 anni, 47% donne); 1.313 pazienti erano stati trattati con trombectomia endovascolare; i restanti 1.313 con tPA endovena.
 
Pr quanto riguarda gli esiti funzionali, dal confronto tra i due trattamenti esce vittoriosa la procedura endovascolare, effettuata con un microcatetere o altro device per la trombectomia meccanica. Il trattamento invasivo porta a tassi di rivascolarizzazione angiografica superiori a 24 ore, ma risulta gravato nella stessa misura dagli stessi effetti indesiderati della trombolisi. In particolare, i tassi di emorragia intracranica sintomatica sono risultati praticamente sovrapponibili (di poco superiori al 5% in entrambi i gruppi), come anche la mortalità per tutte le cause a 90 giorni (16-18%).
 
“Questa metanalisi – commentano gli autori – sintetizza le evidenze scaturite dai trial clinici randomizzati e potrà aiutare a definire meglio il disegno di studi futuri sulla terapia endovascolare nellostroke ischemico. Ma serviranno anche ulteriori studi per analizzare in profondità gli effetti della trombectomia meccanica su determinate categorie di pazienti, forme di patologia ed esiti, così da arrivare ad individuare il paziente ‘ideale’ per questa forma di trattamento”.
 
“I medici devono capire – sottolineano Joanna M. Wardlaw e Martin S. Dennis dell’Università di Edinburgo, in un editoriale pubblicato sullo stesso numero – che la trombectomia non è una procedura necessariamente più sicura dello standard attuale di terapia rappresentato dalla trombolisi: i rischi di emorragia intracranica sintomatica sono sovrapponibili, come anche la mortalità per tutte le cause. E’ necessario a questo punto effettuare nuovi rigorosi trial per individuare i pazienti che possono trarre un beneficio dalla trombectomia e in quale misura, tenendo in considerazione anche l’effetto delle comorbilità associate, dell’età, dei limiti relativi alla sede del trombo e della finestra terapeutica (probabilmente superiore alle 6 ore)”.
Resta infine ancora da capire come implementare la trombectomia nella pratica clinica e affrontare la spinosa questione di chi dovrebbe essere ad effettuarla; infine sarà necessario tracciare un bilancio complessivo dei benefici, dei costi e dell’efficienza del servizio, per capire se il gioco valga veramente la candela.
 
Maria Rita Montebelli
3 novembre 2015
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