Fumo, colesterolo e pressione alta, diabete, obesità addominale, stress, mancata assunzione giornaliera di frutta e verdura e vita sedentaria. Questi i fattori di rischio facilmente prevenibili che, se accumulati, possono giustificare la quasi totalità degli infarti miocardici (il 90 per cento).Ad accendere i riflettori sull’argomento il XXVIII Congresso “Conoscere e Curare il Cuore” organizzato a Firenze dalla Fondazione Onlus “Centro Lotta contro l’Infarto”.
Tra gli argomenti dell’incontro proprio una più approfondita conoscenza delle cause dell’infarto.
L’avere individuato negli anni Cinquanta i fattori di rischio cardiovascolare rappresenta un traguardo per la cardiologia. Tuttavia, anche se si può affermare che la coesistenza di più fattori di rischio aumenta la possibilità di andare incontro all’infarto, è anche vero che la completa assenza degli stessi non ne elimina il rischio.
Per colmare questa lacuna sarà avviato a breve lo studio Opposites, ideato dalla Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto insieme all’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e la Fondazione per il Tuo Cuore, che si pone l’ambizioso obiettivo di chiarire meglio come e perché si verifica un attacco di cuore. “Le cause che possono determinare un improvviso passaggio da una situazione di stabilità della malattia coronarica verso la instabilità, e quindi l’infarto, sono verosimilmente molteplici. La loro individuazione rappresenta attualmente un obiettivo di ricerca strategica cruciale per sviluppare nuovi, specifici ed efficaci strumenti di prevenzione e di terapia”, ha spiegato Francesco Prati, direttore della Struttura Complessa di Cardiologia Interventistica dell'Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma e Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto.
“Lo studio Opposites - ha aggiunto Attilio Maseri, presidente della Fondazione per il Tuo cuore e co-autore dello studio - valuterà in pazienti colpiti da un primo infarto, oppure da una seconda sindrome coronarica o ancora con coronaropatia stabile, le caratteristiche delle placche aterosclerotiche. Grazie allo studio, in futuro saremo in grado di identificare le caratteristiche specifiche, distintive delle lesioni che diventeranno instabili e che potrebbero non essere le stesse in tutti i casi. La nuova sfida, quindi, è la prevenzione degli stimoli trombogenici occasionali”, ha aggiunto.
Questo, tuttavia, è soltanto uno dei filoni di ricerca. Grande attenzione si sta prestando all’individuazione di profili genetici che predispongono all’infarto.
Le nuove metodiche di analisi genomica hanno consentito di identificare una serie di varianti genetiche associate al rischio di infarto miocardico in maniera significativa e riproducibile. E diversi studi presentati nel corso dell’incotro hanno documentato l’associazione tra alcune varianti genetiche e lo sviluppo di cardiopatia ischemica e infarto miocardico. Di grande importanza potrebbero essere i risultati dello “Studio Genetico Italiano nell’Infarto Miocardico Giovanile”, di prossima pubblicazione che, condotto in 125 unità coronariche italiane, ha rilevato un’associazione significativa tra la variante genetica rs1333040, localizzata sul cromosoma 9p21, e la prevalenza di coronaropatia, in 1508 pazienti con infarto miocardico giovanile, che si verifica cioè prima dei 45 anni di età.
Un filone di ricerca in divenire, insomma, che potrebbe aprire nuove strade alla prevenzione personalizzata.