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QS Edizioni - sabato 17 agosto 2024

Scienza e Farmaci

Se sei triste cambia la percezione dei colori. Vedrai male giallo e blu

di Maria Rita Montebelli
immagine 8 settembre - Un esperimento condotto presso l’Università di Rochester apre nuovi scenari nel campo della psicologia della percezione dei colori. Ne viene fuori che tutti i modi di dire che collegano un colore ad uno stato d’animo potrebbero non essere solo ‘modi di dire’, ma solide realtà scientifiche, per secoli sotto gli occhi di tutti
Edith Piaf che, beata lei, era innamorata vedeva la vita tutta in rosa (‘La vie en rose’), Phil Collins in ‘Groovy kind of love’ dice alla sua bella che quando si sente giù (‘when I’m feeling blue’) gli basta  guardarla per sentirsi già meglio, un italiano pessimista infine vede tutto nero, anche senza indossare gli occhiali da sole. Metafore, modi di dire che collegano uno stato d’animo ad un colore specifico. Ma che da oggi hanno però anche un solido substrato scientifico.
 
Una ricerca da poco pubblicata su Psychological Science, organo ufficiale dell’Association of Psychological Science dimostra infatti che il nostro stato d’animo può realmente influenzare la percezione dei colori, facendone sembrare alcuni più spenti e un po’ grigiolini. 
 
Va detto che un piccolo sentore di questa scoperta lo avevamo già avuto all’inizio dell’anno, quando su tutti i social network impazzava il tormentone del colore di un vestito (#TheDress), per la verità assai bruttino, postato da una certa ‘swiked’ su Tumblr. Questo misterioso account chiedeva alla smisurata platea della rete di aiutarla a capire se il vestito fosse bianco e oro o blu e nero.
 
Al sondaggio, oltre ai comuni mortali, hanno partecipato tutti, ma proprio tutti, dalle stelle dei social network a quelle della  musica. Kim Kardashian interveniva decisa nel dibattito dicendo che per lei che il vestito era chiaramente bianco e oro (#whiteandgold), ma ammetteva che il marito Kanie la pensava altrimenti; le facevano eco Taylor Swift e Justin Bieber, fermamente impuntati sul blu e nero ( #blackandblue) e così via. Tutti guardavano la stessa foto, ma c’era chi la vedeva in un modo, chi nell’altro.
 
Ad un certo punto è intervenuto a placare gli animi un certo BradTheLadLong che, con un post su Twitter, ringraziava tutto il mondo per aver partecipato a questo inconsapevole esperimento collettivo, mirato a provare in pratica una sua teoria.
Chiarendo una volta per tutte che il famigerato vestito era bianco e oro, BradTheLadLong spiegava che, secondo la sua tesi, chi sta vivendo un momento molto pesante o drammatico della propria vita è più portato a vedere il vestito blu e nero, mentre chi vive sereno e allegro, ha più probabilità di vederlo bianco e oro.
 
Ed ecco che adesso, un gruppo di scienziati dell’Università di Rochester viene in qualche modo a portare ancora più acqua al mulino della tesi di BradTheLadLong dimostrando che, a seconda del nostro stato d’animo, siamo portati a vedere i colori in modo diverso.
 
“I nostri risultati dimostrano – spiega lo psicologo Christopher Thorstenson dell’Università di Rochester a New York, primo autore della ricerca –  che lo stato d’animo e le emozioni possono influenzare il modo in cui vediamo il mondo che ci circonda. Le nostre ricerche fanno progredire lo studio della percezione cromatica, dimostrando che la tristezza va ad impattare in maniera specifica sui processi visivi di base, che sono implicati nella percezione dei colori.”
 
Studi precedenti avevano già dimostrato come le emozioni possano influenzare diversi processi visivi e qualcuno aveva già collegato l’umore depresso ad una ridotta sensibilità al contrasto cromatico.
 
E dato che la sensibilità di contrasto è un processo visivo basilare coinvolto nella percezione dei colori, i ricercatori americani si sono chiesti se potesse esserci un legame specifico tra la tristezza e la nostra capacità di percepire i colori. Ed hanno cercato una risposta in due esperimenti.
 
Nel primo, hanno chiesto a 127 studenti di guardare un cartone animato strappalacrime (Il Re Leone) o una sit-com (i partecipanti venivano assegnati ai due gruppi in maniera randomizzata ); quindi sono stati sottoposti ad un test sulla percezione dei colori, consistente nel guardare 48 macchie di colore desaturate, cioè molto sbiadite, e indicare se le vedevano rosse, gialle, verdi o blu.
 
Il gruppo che aveva assistito alla proiezione del cartoon triste è risultato meno preciso nel riconoscere i colori, rispetto al gruppo che aveva visto la commedia, ma solo per le macchie di colore dell’asse blu-giallo. Nessuna differenza di performance tra i due gruppi veniva invece registrata per le macchie di colore dell’asse rosso-verde.
 
In un secondo esperimento, condotto su 130 partecipanti, venivano confrontati per lo stesso test due gruppi; ma questa volta il confronto era tra un film triste e una proiezione emotivamente neutra. Anche in questo caso, i soggetti che prima del test dei colori avevano visionato il film triste, si dimostravano meno accurati nel riconoscimento dei colori, ma sempre e solo su quelli dell’asse blu-giallo. Questo secondo test confermava dunque che era la tristezza a determinare un’alterata percezione dei colori.
 
“Siamo rimasti sorpresi – ammette Thorstenson - dal constatare quanto fosse specifico il test; non avevamo previsto questo risultato”. E aggiunge, in un’intervista rilasciata al Daily Mail  “questi risultati escludono la possibilità che la tristezza provochi semplicemente un minor sforzo di attenzione o di concentrazione perché se così fosse i partecipanti allo studio avrebbero visto male anche i rossi e i verdi.
Inoltre, suggerisce che una deplezione di dopamina potrebbe essere alla base di questa alterata visione dei colori, visto che precedenti ricerche hanno collegato un deficit dopaminico a livello della retina con un’alterata capacità di percepire il giallo e il blu, ma non il rosso e il verde”.
 
Le persone tristi a volte dicono di vedere il mondo tutto ‘grigio’, o ‘senza colore’.
Un importante indizio, da sempre sotto gli occhi di tutti, che solo adesso la scienza ha cominciato a prendere in considerazione e ad esplorare.
Questa ricerca apre dunque nuovi interessantissimi scenari, anche i suoi risultati andranno naturalmente confermati da ulteriori studi.
 
Maria Rita Montebelli
8 settembre 2015
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