toggle menu
QS Edizioni - sabato 27 luglio 2024

Scienza e Farmaci

Speciale cardiologia 8. Scompenso cardiaco: doccia fredda per la terapia genica

di Maria Rita Montebelli
immagine 1 settembre - Un tentativo molto intrigante in teoria, quello di correggere con la penna rossa e blu gli errori di ortografia del DNA e di rimettere a posto le cose. Ci si è provato anche con lo scompenso cardiaco, attraverso uno studio californiano dal nome evocativo, CUPID 2. Ma gli errori sono restati al loro posto e le correzioni non sono arrivate a destinazione. I ricercatori sono però convinti che questa sia la strada giusta per ridare forza ai cuori ‘stanchi’ e invitano a restare ‘sintonizzati’.
La terapia di ‘gene transfer’ mirata a correggere un’alterazione enzimatica, implicata nella contrattilità e nel rilasciamento miocardico, non è riuscita a migliorare il grado di scompenso cardiaco in una popolazione di pazienti con ridotta frazione d’eiezione, arruolata nello studio CUPID 2 (Calcium Up-Regulation by Percutaneous Administration of Gene Therapy in Cardiac Disease Phase 2b).
I risultati dello studio, il più grande mai realizzato con la tecnica del ‘gene transfer’ applicata allo scompenso cardiaco, sono stati presentati a Londra nell’ambito del congresso della Società Europea di Cardiologia. La freccia di cupido non è dunque scoccata, almeno per questa volta, ma l’idea rimane intrigante.
 
Il razionale di CUPID 2 si basa infatti sull’osservazione che il deficit dell’enzima SERCA2a (sarcoplasmic reticulum CA2+ ATPase) si correla con la progressione dello scompenso cardiaco. I ricercatori californiani hanno dunque pensato di intervenire su questa alterazione, con la tecnica del trasferimento genico, sperando che questo potesse migliorare la funzionalità cardiaca e l’hanno sperimentata su un gruppo di 250 pazienti con ridotta frazione d’eiezione, arruolati presso 67 centri USA, europei e israeliani. Tutti sono stati randomizzati a ricevere la terapia genica (121) o il placebo (122), e sono stati quindi seguiti per almeno un anno.
 
L’endpoint primario di efficacia era rappresentato dall’intervallo di tempo prima di una recidiva di scompenso, definita come ricovero o trattamento ambulatoriale per un peggioramento dello scompenso cardiaco o addirittura come impianto di un device di supporto circolatorio meccanico (MCSD).
 
Dopo un follow-up medio di 17,5 mesi i pazienti del gruppo ‘terapia genica’ non hanno mostrato miglioramenti né nell’endpoint primario, né in quelli secondari rispetto al gruppo placebo. In particolare, sono stati registrati 104 recidive e 36 eventi terminali nel gruppo ‘terapia genica’ contro rispettivamente 128 e 29 eventi nel braccio placebo. Non sono stati invece segnalati eventi avversi.
 
Il deficit dell’attività del SERCA2a e la sua correzione con la tecnica del gene transfer hanno una dimostrata efficacia negli animali, ma il CUPID 2 ha dimostrato che questi risultati non sono applicabili tout court nella declinazione umana dello scompenso cardiaco, dove aumentare il livello dell’attività del SERCA2a non modifica evidentemente la traiettoria della malattia.
 
Un piccolo studio pilota condotto dallo stesso gruppo qualche anno fa aveva dato risultati interessanti e quindi nulla faceva presagire il sostanziale fallimento del CUPID 2.
“Sebbene i risultati preliminari nei modelli sperimentali e negli studi pilota sui pazienti scompensati avessero mostrato buoni risultati – ammette Barry Greenberg, dell’ UCSD Sulpizio Cardiovascular Center, La Jolla, California, USA - è possibile che il SERCA2a non rappresenti un target appropriato per trattare lo scompenso cardiaco nell’uomo e che i risultati favorevoli emersi dallo studio pilota fossero solo casuali.
Nonostante i risultati promettenti degli studi preliminari, questo trattamento non è riuscito a ridurre né le recidive di scompenso acuto, né gli eventi terminali nel gruppo in studio e neppure nei sottogruppi prespecificati”.
 
Ma di questo tentativo fallito, non tutto è da buttare. Per lo studio è stata utilizzata la sofisticata tecnica di somministrazione genica intracoronarica, attraverso un vettore associato ad adenovirus (AAV) che si è rivelata sicura, seppure non efficace e questo rappresenta comunque un punto di partenza per futuri studi.
E dunque nessuno ha gettato la spugna; l’esperienza di questi risultati potrà rivelarsi preziosa per le ricerche future.
“Sebbene CUPID 2 non abbia centrato gli endpoint – conclude Greenberg -  rappresenta comunque uno studio importante e i suoi risultati serviranno come base per futuri studi di terapia genica nello scompenso cardiaco”.
 
Maria Rita Montebelli
1 settembre 2015
© QS Edizioni - Riproduzione riservata