Nuove tecniche di
imaging diventano protagoniste nella diagnosi dell’endocardite batterica, una condizione spesso mortale e non infrequente nelle corsie d’ospedale.
“Per la diagnosi di endocardite – afferma il Professor
Gilbert Habib, presidente della
Task Force che ha redatto le linee guida – va sottolineata la necessità di un approccio basato su un
imaging multimodale, comprendente non solo l’ecocardiografia, ma anche la PET-TAC. Mentre le linee guida del 2009 erano tutte incentrate sull’ecocardiogramma, questa nuova edizione enfatizza questa svolta nella diagnosi e, in un nuovo algoritmo diagnostico, ne raccomandiamo fortemente l’utilizzo”.
Per quanto riguarda la gestione dell’endocardite, le nuove linee guida sottolineano l’importanza di creare, nei centri di riferimento, un ‘
team endocardite’, composto da cardiologo, cardiochirurgo e infettivologo; i centri di riferimento dovrebbero inoltre avere immediato accesso alle procedure diagnostiche e alla cardiochirurgia.
“Nel nostro centro abbiamo dimostrato che questo è l’approccio vincente – sottolinea Habib – perché ha ridotto la mortalità ad un anno dei pazienti con endocardite infettiva dal 18,5% all’8,2%. La creazione di un ‘
team endocardite’ nei centri di riferimento è dunque una delle più importanti raccomandazioni contenute nelle nuove linee guida”.
Il documento esamina anche contesti specifici, quali l’endocardite infettiva nelle unità di terapia intensiva, l’endocardite infettiva nei soggetti con tumore e l’endocardite infettiva (non batterica) marantica.
Vengono offerte una serie di raccomandazioni inerenti alla diagnosi precoce, al rapido inizio della terapia antibiotica e all’intervento chirurgico precoce. “L’endocardite è una malattia mortale – ricorda il Professor
Patrizio Lancellotti,
co-chairperson della
Task Force – se trattata troppo tardi. Le nuove linee guida si concentrano sui mezzi per ridurre il ritardo diagnostico, sulla rapida introduzione della terapia antibiotica e sul tempestivo invio al cardiochirurgo, ove necessario”.
Area ancora molto controversa è quella dell’utilità della profilassi. Una delle principali differenze, rispetto alle linee guida 2009, è proprio l’abbandono della profilassi in molte situazioni, poiché ritenuta di non comprovata efficacia e anzi potenzialmente pericolosa. Per questo, la nuova edizione delle linee guida raccomanda la profilassi solo nei pazienti ad altissimo rischio di endocardite infettiva e in procinto di essere sottoposti a procedure odontoiatriche ad alto rischio. Una buona igiene orale e controlli periodici dal dentista vengono considerati molto più utili nel ridurre il rischio di endocardite infettiva, che non la profilassi antibiotica.
Il dubbio comunque rimane. “Sarebbero necessari – ammette Habib – studi idealmente randomizzati per dirimere questa difficile questione. L’endocardite è una patologia in evoluzione, ancora associata con un’elevata mortalità (10-26% di mortalità in ospedale). Speriamo dunque che queste nuove linee guida siano di aiuto ai medici per attirare l’attenzione sulla prevenzione, piuttosto che sulla profilassi, per ridurre l’incidenza dell’endocardite infettiva, soprattutto nel contesto dell’endocardite nosocomiale.
La mortalità si può ridurre attraverso una gestione multidisciplinare, nei centri specializzati nel trattamento dell’endocardite. Il nostro consiglio ai medici è di inviare tempestivamente al cardiochirurgo i pazienti con endocardite infettiva, perché vengano valutati da questo specialista appena possibile”.
Anche queste linee guida, come le altre presentate oggi, sono state pubblicate
online su
European Heart Journal2 e sul sito
web della Società Europea di Cardiologia.
Maria Rita Montebelli