Basta una passeggiata al giorno o un giro in bicicletta per proteggersi dallo scompenso cardiaco dopo i 60 anni. Lo dimostra uno studio appena pubblicato
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Journal of the American College of Cardiology: Heart Failure che dimostra come un’attività fisica moderata sia un toccasana contro lo scompenso cardiaco, condizione per la quale non si riescono da anni a trovare nuove terapia farmacologiche realmente efficaci.
E lo studio dimostra anche che non è mai troppo tardi per iniziare a muoversi; adottare un comportamento ‘sportivo’ ragionevole giova più, contro lo scompenso cardiaco, che non essere stati dei grandi sportivi in passato.
Lo scompenso cardiaco è una condizione caratterizzata dal fatto che il cuore non riesce a svolgere più adeguatamente la sua funzione di pompare il sangue in modo adeguato alle necessità dei vari distretti corporei. A soffrire di questa condizione sono non meno di 23 milioni di persone nel mondo; il rischio di ammalarsi di scompenso nel corso della vita di ognuno è pari al 20% e va aumentando con la progressiva e sempre maggiore longevità della popolazione.
Lo studio appena pubblicato ha interessato 33.012 uomini della
Cohort of Swedish Men, seguita dal 1998 al 2012 o fino alla comparsa di scompenso cardiaco, per valutare se l’attività fisica fosse associata ad una variazione del rischio di scompenso cardiaco. Il grado di attività fisica è stato valutato al momento dell’arruolamento nello studio mediante un questionario che esplorava la tipologia e il grado di attività svolta intorno ai 60 anni e circa 30 anni prima.
I risultati dimostrano che il rischio maggiore di scompenso cardiaco si riscontra nei maschi impegnati in livelli di attività fisica strenua (rischio del 47%) o minimi (rischio del 51%), rispetto ai soggetti che svolgono un’attività fisica moderata. Andando ad analizzare i vari tipi di attività fisica, gli autori dello studio hanno evidenziato che quella migliore per il cuore, quella cioè che si associa alla maggior riduzione di rischio di scompenso cardiaco, è camminare o andare in bicicletta 20 minuti al giorno. Questo tipo di attività è risultata associata infatti ad una riduzione del rischio di scompenso cardiaco del 21% e alla più lunga sopravvivenza senza scompenso cardiaco. Le persone dedite ad un’attività fisica moderata, alle quali veniva fatta diagnosi di scompenso cardiaco nel corso dello studio erano in media 8 mesi più anziane degli scompensati sedentari.
Non solo la quantità, ma anche la tipologia di attività fisica è importante ai fini della riduzione del rischio di scompenso cardiaco. Camminare e andare in bicicletta più di un’ora a settimana, sono risultate le attività più protettive; non così l’attività fisica inerente all’attività lavorativa o ai lavori domestici. E nemmeno essere stati grandi sportivi all’età di 30 anni, riesce ad proteggere dallo scompenso cardiaco nei decenni successivi.
“I partecipanti allo studio – afferma uno degli autori dello studio,
Andrea Bellavia, Karolinska Institutet, Stoccolma – hanno fornito informazioni sulla loro attività fisica all’età di 30 anni e di quella del periodo a ridosso del momento dell’arruolamento, all’età di circa 60 anni. In questo modo siamo riusciti a valuta l’impatto a lungo termine dell’attività fisica sullo scompenso cardiaco. Così abbiamo scoperto che l’attività fisica svolta in tempi recenti è un fattore di protezione contro lo scompenso cardiaco più importante che l’attività fisica svolta in tempi passati. L’attività fisica ‘recente’ riesce anche a ritardare la comparsa di scompenso cardiaco in quanti si dedicano a camminare o ad andare in bicicletta 20 minuti al giorno”.
Ma non bisogna esagerare. Un’attività fisica strenua, come correre per lunghe distane o fare un lavoro manuale pesante può stressare l’organismo e influenzare quindi in maniera negativa la salute del cuore.
“La relazione a ‘U’ tra il grado di esercizio fisico, sia eccessivo che troppo scarso e la comparsa di scompenso cardiaco – commenta
Christopher O’Connor, direttore di
Journal of the American College of Cardiology: Heart Failure – è un dato inedito che andrà approfondito da ulteriori studi nel campo della prevenzione”.“Di certo – scrivono in un editoriale di commento allo studio,
Steven
J. Keteyian e
Clinton A. Brawner, Divisione di Medicina Cardiovascolare dell’Henry Ford
Hospital di Detroit – questi risultati devono ricordarci che ancora sappiamo relativamente poco su come le variazioni di attività e la ‘dose’ dell’esercizio fisico possano impattare sull’inizio della malattia. Questi risultati rinforzano il messaggio che un livello moderato di attività fisica rappresenta un’importante strategia comportamentale”.
Maria Rita Montebelli