La capacità di predire le possibilità di recidiva del tumore mammario permette di evitare a circa 1 donna su 3 di sottoporsi a chemioterapia. Sono i risultati preliminari del primo studio prospettico, condotto in Italia dall’Università Campus Bio-Medico di Roma attraverso un nuovo test genetico che indaga i 50 geni maggiormente implicati nella progressione neoplastica. I dati sono stati presentati lunedì 8 giugno nell’Aula Magna della stessa Università da
Giuseppe Perrone, Associato di Anatomia Patologica del Campus Bio-Medico di Roma, nel corso di un workshop, al quale ha partecipato, tra gli altri,
Aleix Prat, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Ospedale di Barcellona, che da anni studia le basi molecolari del carcinoma mammario.
“Dal 1° giugno 2014 – ha spiegato Perrone – sono stati analizzati 49 casi di carcinomi mammari tramite il test in dotazione al Campus Bio-Medico e i risultati sono stati confrontati con la metodica tradizionale di classificazione dei carcinomi mammari basata su dati immunoistochimici. L’esperienza ha mostrato che nel 30% delle pazienti (15/49) il test ha dato risultati diversi rispetto a quelli ottenuti con metodo tradizionale, permettendo all’oncologo di considerare il solo trattamento ormonale, evitando un trattamento chemioterapico ingiustificato a fronte di una modestissima possibilità di recidiva del tumore”. “Sono risultati ancora preliminari, ma grazie ad una raccolta fondi già avviata contiamo di proseguire il trial su altre 450 donne. Se si confermeranno, questi dati potranno aprire nuove prospettive di diagnosi e cura del tumore mammario”, conclude Perrone.
Secondo lo studio retrospettivo NEMESI, condotto in 63 centri italiani e pubblicato su
BMC Cancer nel 2012, 58 donne su 100 con un pregresso carcinoma mammario sono state sottoposte a chemioterapia adiuvante, ma nel 25% di questi casi, al termine del percorso terapeutico, è emerso che il trattamento non serviva. Applicando queste percentuali al numero delle donne italiane con diagnosi di carcinoma mammario, ovvero 522.235 (stima per l'anno 2006 contenuta nei dati Aiom 2013), si arriva alla conclusione che più di 75mila donne, nel nostro Paese, hanno effettuato una chemioterapia che poi si è rivelata non necessaria. Con un costo di poco inferiore al miliardo di euro, al netto della spesa per i test genetici.
“Fino ad oggi – spiega
Giuseppe Tonini, Responsabile dell’UOC di Oncologia del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico – con l’analisi dei fattori clinici e anatomopatologici tradizionali era possibile identificare soprattutto pazienti con rischio molto alto o molto basso di recidiva tumorale al seno. Restava, tuttavia, una consistente fascia di persone con rischio intermedio a cui, spesso, l’oncologo era costretto a proporre la chemioterapia precauzionale. Con il nuovo test molecolare ora a disposizione, avremo la possibilità di ottenere un’ulteriore e accurata sottostratificazione di queste donne, così da poter ridurre il numero di casi da sottoporre a chemioterapia. Le informazioni che fornisce il nuovo test, peraltro, si confermano rilevanti dal punto di vista prognostico anche fino a 10 anni dall’insorgenza della neoplasia”.
Come funziona il test
Questo tipo di test diagnostico, disponibile in Italia solo presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, è dotato di certificazione europea (CE-IVD) e dell'Agenzia americana del farmaco (FDA). È rivolto alle pazienti operate di tumore al seno con diagnosi in post-menopausa, di carcinoma mammario invasivo, recettori ormonali positivi e linfonodi loco-regionali negativi o positivi (da 1 a 3). Si basa sull’analisi molecolare dell’RNA isolato dal tessuto tumorale mammario asportato. È l'unico esame in grado di classificare i tumori al seno in quattro classi molecolari e, contemporaneamente, di valutarne la categoria di rischio di recidiva a 10 anni.
La metodica – spiega
Francesca Zalfa, Associato di Biologia Applicata Università Campus Bio-Medico di Roma – è, peraltro, altamente sensibile, permettendo di studiare direttamente le molecole di RNA estratte dal tumore della paziente, evitando di eseguire molteplici fasi di manipolazione enzimatiche altrimenti necessarie con i sistemi di analisi oggi esistenti. In questo modo, oltre che più veloce – perché le fasi di lavorazione diminuiscono – il processo di analisi è anche meno soggetto a errori o interferenze. Il test, inoltre, può essere effettuato su tutti i tessuti post-operatori derivanti dalla neoplasia mammaria, rendendo di fatto potenzialmente valutabili tutte le pazienti operate.