Sarà mai possibile trasformare il livello più basso di evidenza clinico-sperimentale, quello cioè del caso isolato, in un dato capace di portare all’approvazione un farmaco magari molto innovativo? Qual è l’altra faccia, quella forse meno luminosa, della cosiddetta medicina di precisione? Dovremo definire medicina spersonalizzata, di imprecisione, quella che si prende cura di tutti coloro che non sono assolutamente identici a quel caso unico, ovvero a tutti gli altri pazienti?
Ogni approccio che prevede l’impiego clinico di profili molecolari unici e propri di ciascun paziente, puntando a ottenere la massima risposta terapeutica in base ai diversi profili fisiopatologici molecolari che caratterizzano la malattia e la risposta ai farmaci nel singolo individuo, contemporaneamente esclude non solo tante altre variabili non misurate o non misurabili ma anche tutti i pazienti che non corrispondono con precisione (appunto) a determinati profili. Tale possibilità va quantomeno discussa perché ha importanti ricadute sulle valutazioni costo-efficacia e sul miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva. Dovrà essere dimostrato che i benefici attesi per i sistemi sanitari saranno davvero significativi producendo maggiore efficienza e maggior risparmio.
In questo quadro, come recentemente sottolineato da Nicholas J. Schork su “
Nature”, assumono un ruolo sempre più importante i cosiddetti “
N-of-1 trials”. Si tratta di sperimentazioni cliniche condotte su un singolo paziente, in cui si alternano periodi di trattamento sperimentale e di controllo. Utilizzando i risultati aggregati di più
N-of-1 trials, condotti con le stesse metodologie e utilizzando delle tecniche probabilistiche di statistica Bayesiana, si può giungere a conclusioni sull’efficacia di un intervento terapeutico applicabile a tutta la popolazione o a suoi sottoinsiemi, come ad esempio quelli composti da persone che hanno in comune solo alcune particolari caratteristiche genetiche tra quelle studiate.
Vi è sempre una quota d’imprecisione nella precisione. Studi di questo tipo vengono utilizzati per la cura di alcune malattie rare, ma spesso sono privi di adeguati disegni sperimentali o sono carenti dal punto di vista dell’archiviazione e dell’analisi delle informazioni necessarie per elaborare ipotesi sui meccanismi di efficacia e/o sicurezza dei farmaci. A oggi, i casi di
N-of-1 trials sono ancora esigui, pur essendo molto utili sia nello stadio inziale del processo di sviluppo dei farmaci, sia per monitorarne la sicurezza, identificarne dosaggi appropriati e per supportare i medici nell’individuazione della comparsa di una nuova malattia.
Non ultimo, dovrebbero rendere possibile l’utilizzo più razionale delle risorse economiche e la riduzione dei tempi di sviluppo e approvazione dei trial clinici. È anche per questo motivo che, in un contesto sempre più caratterizzato da risorse limitate, è fondamentale il ruolo delle agenzie regolatorie nell’incentivare i ricercatori clinici e le aziende farmaceutiche al superamento del modello dei farmaci “blockbuster”, garantendo tutto il supporto necessario allo sviluppo di solidi disegni di
N-of-1 trials.
A tal proposito, una delle sfide regolatorie e scientifiche attuali consiste nel poter identificare biomarcatori in grado di stratificare la popolazione di pazienti secondo distinti sottotipi biologici. Si tratta di un impegno, che deve coinvolgere i regolatori, i pagatori, le imprese e l’accademia e rispetto al quale l’Agenzia Europea dei Medicinali e l’Agenzia Italiana del Farmaco sono attive da diverso tempo.
Riconoscendo infatti l’importanza dello sviluppo di trattamenti mirati e innovativi e consapevole che i dati genomici sono diventati sempre più importanti per la valutazione dei benefici e dei rischi di un medicinale, nonché nel controllo della sicurezza post-autorizzazione, l’EMA dedica particolare attenzione alla ricerca
sull’uso dei biomarcatori nello sviluppo dei farmaci ed è impegnata nella definizione di
linee guida scientifiche relative alla farmacogenomica che possano favorire l’utilizzo dei dati genomici nello sviluppo delle terapie personalizzate e la diagnosi precoce delle malattie.
L’AIFA, dal canto suo, fornisce supporto e consulenza all’Agenzia Europea alle attività di
Qualification Advice sulla stratificazione di strumenti e marcatori dei risultati. L’obiettivo è verificare con largo anticipo se tali strumenti potranno mai essere accettati nei trial clinici e supportare la qualificazione di metodi di sviluppo innovativi nella ricerca in ambito farmaceutico perché, alla luce delle tendenze che si stanno già consolidando nella moderna ricerca farmacologica, è necessario saper valorizzare in modo obiettivo l’innovazione, per offrire ai cittadini farmaci realmente sempre più efficaci.
Luca Pani
Direttore generale Aifa
Fonte: AIFA Editorial