“…Se sei bello ti tirano le pietre, se sei brutto ti tirano le pietre, qualunque cosa fai tu sempre pietre in faccia prenderai...”. Cantava così, tra l’umoristico e l’anarcoide, la famosa marcetta di un Sanremo di fine anni ’60. Vale oggi per le industrie del farmaco, sulle quali appunto “piovono pietre”, come direbbe il Cipputi di Altan al collega Bottazzi, nel bene e nel male.
Sarà infatti il farmaco ancora il settore di spesa più tagliato, nonostante l’Italia registri il record mondiale di crescita per produzione ed export, quello che nell’economia nazionale più di ogni altro comparto sta contribuendo a fronteggiare e superare la crisi, persino stracciando economicamente la Germania (“uomo morde cane”). Il “refrain” però resta sempre lo stesso: “vil razza dannata”, parafrasando Rigoletto.
“Incomprensibile”, si lamenta amaramente a ragione il Presidente di Farmindustria Scaccabarozzi. È in effetti paradossale la discrasia tra percezione dei farmaci, tutta positiva, curano e guariscono, e di chi li scopre e produce, le industrie, viste come coagulo dell’umana nequizie. Uno iato che non esiste in nessun altro genere di consumo, dove il valore del bene si riflette a fortiori su chi lo produce, con aziende amate dalle folle pur se di prodotti di ben maggiore futilità rispetto ai farmaci.
Forse le farmaceutiche non comunicano adeguatamente il loro reale valore? Probabilmente lo fanno bene per i propri prodotti al medico ma magari non adeguatamente il proprio “brand” d’impresa, o d’intero comparto, al grande pubblico e alla comunità dei “policy” e “decision makers”. Fatto sta che finiscono con l’interpretare puntualmente i “villain” della storia.
Un’immagine opposta al reale che, invece, sarebbe essenziale far percepire correttamente data la grande ricaduta sociale e perciò di forte interesse politico per chi ne muove regole e portafoglio, diventando naturalmente funzionale e propedeutico alla migliore realizzazione di quello economico. Col SSN cliente pressoché unico (monopsonio) che pure decide le regole del gioco a cominciare dai prezzi che stabilisce di pagare.
Ecco allora che certi episodi neri, spesso dovuti a manager funesti per le proprie aziende, tutti bonus e scorciatoie di carriera, molto hybris e poche letture (le pagine sportive), esempi di potere senza cultura (“baco erosivo del capitalismo”, secondo Marx), sono stati accasati dal megafono mediatico nella piccola bottega degli orrori.
In questo Paese diffusamente immorale e moralista, diventano vicende molto popolari per la loro impopolarità, finendo col rendere quella bottega sempre più piccola. Perché diventano alibi ai tagli alla spesa e alle misure restrittive, ormai arrivate a circa 40 negli ultimi quindici anni.
Il farmaceutico non riesce a capitalizzare quella preziosa dimensione sì privata ma di beneficio pubblico che non è dalle Istituzioni adeguatamente riconosciuta nei meriti e nei valori. Così che i tanti straordinari benefici sanitari, sociali ed economici apportati alfine sono oscurati. Anche perché probabilmente comunicati in modo inadeguato.
L’ennesima sforbiciata, persino
a fronte dei risultati record registrati è effettivamente una situazione che potrebbe far gridare alle farmaceutiche “vendetta, tremenda vendetta”, per restare al gobbo di Verdi. In altri Paesi è successo per molto meno, col ritiro volontario di farmaci anche salvavita da parte delle industrie proprietarie. Ma ne pagherebbero il conto ingiustamente i pazienti.
Giusto quindi il limitarsi di Scaccabarozzi allo stracciarsi le vesti. Però, una volta ricomposte, col suo Sinedrio, di come far percepire finalmente in modo adeguato quei propri valori e benefici socialmente così elevati ne faccia ancora di più questione cruciale.
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria