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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Cancro al colon. Confermato il collegamento con diete ricche di grassi. E bastano appena due settimane di “bagordi” per aumentare il rischio

di Viola Rita
immagine 29 aprile - Al contrario passare da una dieta ad alto contenuto di grassi ad un'alimentazione ricca di fibre sembrerebbe ridurre il rischio di questo tumore sempre in sole due settimane. I ricercatori: “non è mai tardi per modificare le proprie abitudini alimentari”. La ricerca è stata condotta su 20 individui di origini africane e 20 americani che si sono scambiati le rispettive diete. Lo studio* su Nature Communications
Uno studio scientifico conferma il collegamento tra alimentazione ricca di grassi e tumore del colon, mostrando come tale collegamento possa manifestare alcuni effetti in tempi piuttosto brevi. Infatti, secondo uno studio condotto dall'Imperial College London, cambiare alimentazione e passare per sole due settimane ad una dieta ricca di grassi e proteine potrebbe comportare effetti negativi per la salute dell’intestino, e in particolare una variazione di specifici parametri collegati ad un aumento del rischio di tumore al colon. Al contrario, cambiare alimentazione, scegliendo una dieta ad alto contenuto di fibre, sembrerebbe comportare effetti benefici già dopo due settimane. Lo studio, condotto su un gruppo complessivo di 40 persone, è pubblicato* su Nature Communications.
 
Secondo i ricercatori, cambiamenti di questo genere all’interno della dieta comporterebbero in soli 14 giorni effetti “critici” rispetto ai fattori di rischio per il cancro del colon, una malattia che globalmente rappresenta la quarta causa di decesso tra i tumori. Lo studio ha preso in considerazione 20 volontari di origine Afro-americana e 20 volontari provenienti dal Sudafrica: dopo essersi sottoposti ad un esame endoscopico, i due gruppi hanno modificato le loro abitudini alimentari per due settimane, ‘scambiandosi’ le rispettive diete per due settimane; alla fine di questo periodo tutti i partecipanti hanno ripetuto l’esame endoscopico.
 
Prima della modifica alimentare, l’endoscopia ha mostrato che circa la metà degli Americani presentava polipi intestinali, assenti tra i partecipanti provenienti dal Sudafrica. Dopo due settimane, gli Americani mostravano una riduzione dell’infiammazione nel colon e dei marcatori associati al tumore di quest’organo, mentre nel gruppo di persone di origini sud-africane è stata osservata una variazione critica nei biomarcatori della mucosa intestinale del cancro al colon.
“Il nostro studio suggerisce che il cambiamento della dieta verso un modello marcatamente occidentale comporta variazioni del rischio di tumore al colon nella mucosa di questo organo in due settimane”, ha spiegato il Professor Jeremy Nicholson, che ha guidato il gruppo del Department of Surgery and Cancer all’Imperial College London. “Forse, elemento ancora più importante, il passaggio da una dieta più ‘occidentale’ ad una dieta ‘africana tradizionale’, ad alto contenuto di fibre e povera di grassi, ha comportato una riduzione di questi biomarcatori del rischio di tumore al colon in due settimane: ciò indica che probabilmente non è mai troppo tardi per cambiare la propria dieta al fine di ridurre il rischio individuale di cancro al colon”.
In particolare, prosegue l’esperto, “i risultati suggeriscono che si può ridurre notevolmente il rischio di cancro al colon consumando più fibre. Questo dato non rappresenta di per sé una novità, ma ciò che è davvero sorprendente riguarda la rapidità e l’intensità della variazione dei marcatori del rischio in entrambi i gruppi che hanno modificato la propria dieta".
 
"A partire da queste misurazioni non possiamo affermare in maniera definitiva che il cambiamento nella dieta avrebbe portato ad un maggior numero di tumori nel gruppo proveniente dall’Africa e minore nel gruppo proveniente dall’America", prosegue Nicholson, "ma ci sono diverse evidenze scientifiche, fornite da altri studi, relative al fatto che i cambiamenti che abbiamo osservato rappresentano fattori del rischio di cancro.
 
Un altro cambiamento, riporta lo studio, ha riguardato determinati aspetti del mibrobiota umano – l’insieme dei batteri intestinali dell’individuo – e del metaboloma (l’insieme dei metaboliti, cioè di tutte le sostanze che hanno un ruolo nei processi biologici dell’organismo) noti per essere associati allo stesso rischio. In base allo studio, il cambiamento nell’alimentazione induce una variazione nelle modalità con cui i batteri intestinali modificano il metabolismo per adattarlo alla nuova dieta. In particolare, nel gruppo americano i ricercatori hanno osservato un aumento della produzione del butirrato, un sottoprodotto del metabolismo delle fibre che presenta importanti effetti anticancerogeni.
A tal proposito James Kinross, chirurgo colorettale e componente del gruppo di ricerca dell’Imperial College London, ha commentato così i risultati appena ottenuti:  “questa ricerca mostra che I batteri intestinali sono essenziali nel mediare il collegamento tra la dieta e il cancro del colon. Ciò significa che possiamo pensare di sviluppare terapie mirate su tali batteri quali strategie per prevenire e trattare il cancro”.
 
Inoltre, i risultati dello studio “sollevano seri dubbi rispetto al fatto che la progressiva ‘occidentalizzazione’ delle comunità africane possa portare alla comparsa del cancro al colon quale problema sanitario importante”, ha dichiarato Nicholson. Tuttavia, affinchè i tassi di rischio cambino sensibilmente è necessario che trascorra un lasso di tempo piuttosto lungo, spiega l'esperto. “Studi su popolazioni giapponesi emigrate alle Hawaii hanno mostrato che deve trascorrere un periodo pari ad una generazione affinché l’‘occidentalizzazione della dieta faccia aumentare la ridotta incidenza di cancro al colon fino ai tassi elevati osservati tra i nativi Hawaiani”.
Lo studio è stato finanziato dai National Institutes of Health negli Stati Uniti e dal National Institute for Health Research Imperial Biomedical Research Centre nel Regno Unito.
 
Viola Rita
 
* Stephen J. D. O’Keefe, Jia V. Li, Leo Lahti, Junhai Ou, Franck Carbonero, Khaled Mohammed, Joram M. Posma, James Kinross, Elaine Wahl, Elizabeth Ruder, Kishore Vipperla, Vasudevan Naidoo, Lungile Mtshali, Sebastian Tims, Philippe G. B. Puylaert, James DeLany, Alyssa Krasinskas, Ann C. Benefiel, Hatem O. Kaseb, Keith Newton, Jeremy K. Nicholson, Willem M. de Vos, H. Rex Gaskins, Erwin G. Zoetendal. Fat, fibre and cancer risk in African Americans and rural Africans. Nature Communications, 2015; 6: 6342 DOI: 10.1038/ncomms7342
29 aprile 2015
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