Recenti studi sulla genetica di popolazione hanno evidenziato che la condizione nota come ‘insulino-resistenza’, un noto fattore di rischio per diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari, sembra essere ampiamente ereditabile (nel 40-50% dei casi), anche se fino ad oggi le sue basi genetiche erano sconosciute.
Ma adesso, gli autori di un nuovo studio appena pubblicato su
Journal of Clinical Investigation, sostengono di aver individuato il gene dell’insulino-resistenza, o almeno un gene, associato a moltissime delle caratteristiche tipiche dell’insulino-resistenza.
A questo risultato
Thomas Quertermous e colleghi della Stanford University (USA) sono giunti esaminando il DNA di oltre 5.000 soggetti, arrivando così a scoprire che una variante particolare del gene codificante per l’N-aciltranferasi 2 (NAT2) risulta associata ai fattori di rischio per diabete e cardiopatie.
A riprova del coinvolgimento di questo gene arriva inoltre un altro esperimento: l’inibizione della NAT2 negli animali da esperimento riduce la sensibilità insulinica.
Delle 65 varianti di diabete di tipo 2 – ricordano gli autori dello studio – la maggior parte sembra influenzare la sintesi, il processamento e la secrezione dell’insulina, e/o lo sviluppo del pancreas.
Al fine di promuovere la ricerca sulle basi genetiche della sensibilità all’insulina, gli autori di questo studio hanno dato vita al consorzio GENESIS (
GENEticS of Insulin Sensitivity) che ha condotto uno studio di GWAS (
genome-wide-association) su 2.764 soggetti europei, con misure dirette della sensibilità insulinica, quali il
clamp euglicemico o il test di soppressione dell’insulina, replicando poi lo studio su altri 2.860 individui. In questo modo sono riusciti a scoprire che la presenza di una variante non sinonima della NAT2 [rs1208 (803A>G, K268R)] risulta fortemente associata ad una ridotta sensibilità insulinica e che questo è indipendente dall’indice di massa corporea.
In particolare sarebbe l’allele ‘A’ dell’rs1208 quello associato ai tratti tipici dell’insulino-resistenza, quali aumentata glicemia a digiuno, emoglobina glicata, colesterolo totale e LDL, trigliceridi e coronaropatia.
In un esperimento successivo, condotto su adipociti di topo, i ricercatori americani hanno dimostrato che silenziando il Nat1, ortologo del NAT2, si riduce l’
uptake di glucosio mediato dall’insulina, si aumenta la lipolisi basale e quella stimolata da isoproterenolo e si riduce la differenziazione degli adipociti. L’iperespressione di Nat1 produce invece gli effetti opposti.
I topi con deficit di Nat1 presentano elevati livelli di glicemia, insulinemia e trigliceridi a digiuno, oltre ad una ridotta sensibilità all’insulina.
Alla luce di questi risultati, i ricercatori americani ritengono dunque che le mutazioni di NAT2 possano essere considerate alla base dell’insulino-resistenza, almeno in alcuni individui.
Si stima che ad essere affetto da insulino-resistenza, carattere spesso associato all’obesità, sia un americano adulto su tre e la prevalenza di questa condizione a livello mondiale è in aumento a causa dell’epidemia di obesità.
L’insulino-resistenza è presente nella maggior parte dei pazienti che nel tempo finiscono con lo sviluppare un diabete di tipo 2 e viene considerata un’alterazione necessaria, anche se non sufficiente, per la comparsa di iperglicemia.
Una migliore conoscenza delle basi genetiche della sensibilità all’insulina potrebbe condurre ad una diagnosi precoce e ad un trattamento personalizzato, prima che si sviluppino diabete o complicanze cardiovascolari.
Maria Rita Montebelli