La nuova querelle che si è aperta sul farmaco contraccettivo d’emergenza EllaOne, la cosiddetta “pillola dei 5 giorni dopo”, porta alla ribalta una questione finora poco trattata dai media: quella dell’autonomia decisionale in capo alle autorità nazionali regolatorie del farmaco rispetto all’Agenzia europea dei medicinali (Ema) che da 20 anni “governa” il sistema farmaceutico nella UE.
Il perché dell’importanza della questione è semplice: l’Italia, come finora hanno già fatto solo Malta e Ungheria, sembra orientata a non seguire le indicazioni dell’Ema, ratificate dalla Commissione UE il 7 gennaio scorso, che ha stabilito di togliere l’obbligo di prescrizione a EllaOne in base ai criteri previsti dalla Direttiva europea 2001/83/CE che all’articolo 71, comma 1, individua i quattro fattori da tenere in considerazione per decidere se un farmaco debba essere soggetto a prescrizione medica.
Queste condizioni, secondo la direttiva, si verificano quando un medicinale:
a. possa presentare un pericolo sia diretto che indiretto, anche se utilizzato correttamente, qualora venga utilizzato senza una supervisione medica;
b. possa essere utilizzato frequentemente e estesamente in maniera non corretta, con il risultato di presentare verosimilmente danni diretti o indiretti sulla salute umana;
c. contenga sostanze o preparazioni le cui attività e/ o gli eventi avversi dei quali richiedano ulteriori accertamenti;
d. siano normalmente prescritti dai medici per essere somministrati per via parenterale”.
Come dicevamo, l’Ema prima e la Commissione UE poi, hanno stabilito che nessuna delle quattro condizioni esiste per EllaOne, decidendo conseguentemente di eliminare l’obbligo di prescrizione, invitando contestualmente i Paesi membri a fare altrettanto, e invitandoli altresì a trascrivere le nuove indicazioni sui foglietti illustrativi e sulle confezioni dei medicinali che, essendo EllaOne soggetto a un’autorizzazione al commercio centralizzata (vale a dire decisa a livello dell’Ema per tutti i paesi membri), devono apparire uniformi in tutti gli stati membri dell’Unione dove il farmaco è in commercio.
Come sappiamo il nostro Paese ha finora rinviato la sua decisione in attesa di un nuovo parere del Consiglio superiore di sanità, del quale, nei giorni scorsi, il ministro della Salute ha anticipato le conclusioni (non diffondendo ancora il testo integrale).
Da quanto abbiamo appreso dalle comunicazioni ministeriali, secondo il Css, “il farmaco EllaOne deve essere venduto in regime di prescrizione medica indipendentemente dall’età della richiedente”. "Ciò soprattutto - spiega ancora la nota del Ministero - per evitare gravi effetti collaterali nel caso di assunzioni ripetute in assenza di controllo medico”.
Come appare evidente la motivazione addotta dal Css per non adeguarsi alle indicazioni europee sembrerebbe essere quella del rischio di “assunzioni ripetute” del medicinale da parte delle donne che vi ricorrono per prevenire una gravidanza indesiderata.
Mettendo da parte considerazioni di merito su una tesi che, con le informazioni a nostra disposizione attualmente, non riusciamo a comprendere su quali basi sia stata posta (si teme forse che le donne italiane vi ricorrano ripetutamente senza alcun discernimento, a differenza di quanto accade in tutti gli altri Paesi? Su quali informazioni il Css deduce tale rischio? Esistono indagini in proposito? Studi o altre verifiche sul campo?), in questa sede ci interessa analizzare l’aspetto giuridico e regolatorio della questione.
Ci chiediamo: se l’Ema e la Commissione UE hanno ritenuto, sulla base delle ricerche e degli studi post marketing che EllaOne “non” possa essere utilizzato frequentemente e estesamente in maniera non corretta (lettera b del sopra citato comma 1 dell’articolo 71 della direttiva UE), come può il Consiglio superiore di sanità affermare l’esatto contrario? Ma soprattutto, come potrebbe l’Aifa – alla quale spetterà la decisione sul regime prescrittivo di EllaOne – far propria la tesi del Css che, per l’appunto, sembra non tener in alcun conto le deliberazione dell’Ema alle quali l’Aifa è tenuta a far riferimento?
E veniamo al punto centrale. Quali sono gli spazi di autonomia dell’Aifa? Nel caso specifico della contraccezione e dell’aborto, la direttiva Ue citata specifica (art. 4, comma 4) che gli Stati membri mantengono la propria autonomia decisionale sull’inserimento o meno di farmaci contraccettivi o abortivi in relazione “all'applicazione delle legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l'uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi”.
E a questo articolo si sono infatti appellate Malta e Ungheria per motivare la loro decisone di non seguire le disposizioni Ema Ma lo stesso, ovviamente, non potrebbe fare l’Aifa (né del resto ha mai dichiarato di volerlo fare) perché sia il ricorso all’IVG che alla contraccezione è ampiamente riconosciuto nel nostro Paese.
Dalla disamina della intera disciplina della normazione in materia (consolidata e richiamata dalla Direttiva 2001/83/CE) le eventuali restrizioni possono essere evocate per gravi motivi di ordine pubblico o moralità pubblica, che devono essere inootre chiaramente specificati dallo Stato membro che intende introdurre restrizioni, ma tali motivazioni risultano difficilmente evidenziabili in questo caso.
Ma anche “sposare” la tesi del Css sul rischio di assunzioni ripetute del medicinale appare difficilmente percorribile dall’Aifa che dovrebbe, se lo facesse, andare contro le conclusioni dell’istruttoria scientifica dell’Ema che ha escluso che per EllaOne possa esistere tale rischio. A meno di non dimostrare, dati alla mano, che in Italia la situazione è diversa dal resto d’Europa e che da noi il non obbligo alla prescrizione farebbe lievitare un consumo inappropriato e pericoloso del farmaco. Ma su quali basi, lo ripetiamo, si potrebbe affermare una cosa del genere?
La via tedesca. Un’ipotesi di “compromesso”, che potrebbe contemperare parzialmente i timori del Css con l’opportunità di dare seguito alle decisioni Ema, potrebbe essere la via tedesca. In Germania, infatti, l’autorità nazionale ha stabilito di mantenere l’obbligo di prescrizione solo per le minorenni. Una soluzione che può poggiare su una valida argomentazione legata alla maggiore necessità di tutela di cui in ogni caso godono i minori anche per altri aspetti della loro vita. In tal senso, del resto, si pronunciò anche lo stesso direttore generale dell’Aifa alcune settimane fa lasciando intendere che questa poteva essere la soluzione anche per l’Italia.
Non potendo leggere nella sua interezza il parere del Css, non sappiamo però se tale orientamento sia in qualche modo emerso anche in seno al Css (anche se, a leggere la nota ministeriale, sembrerebbe di no), ma potrebbe effettivamente diventare la via d’uscita per l’Aifa da una situazione di evidente e forte imbarazzo istituzionale nella quale si potrebbe venire a trovare nei confronti della massima autorità europea del farmaco.
Non appare possibile mantenere erga omnse vincolo prescrizione. Alla luce di tutto quanto fin qui evidenziato e dall'excursus della normativa comunitaria considerata nel suo insieme, tesa al raggiungimento di chiari e specifici obiettivi, considerato che la “Direttiva UE” è vincolante per lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi nazionali relativamente alla forma e ai mezzi; considerato che la “Decisione EMA-Commissione UE” è obbligatoria in tutti i suoi elementi e normalmente destinatari sono gli Stati; considerato che dopo la modifica del comma 1 dell'art. 117 Cost. la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali leggi in contrasto con le fonti del diritto comunitario, intendendo queste come norme interposte agli effetti del giudizio di costituzionalità in assenza di loro disapplicazione (Corte Cost. n. 406/2005; 129/2006; 296/2007; 439/2008; 227/2010); atteso che tra i compiti dell'Unione vi è quello di combattere le discriminazioni e promuovere la parità tra i cittadini dell'Unione, non sembra possa essere giustificata una posizione dello Stato italiano tesa a mantenere
erga omnes il vincolo della prescrizione medica per la CE, di fatto limitando l'accesso e l'uso del farmaco, ciò risolvendosi in una mancata conformità alle fonti di diritto e atti di indirizzo politico comunitario, da cui potrebbero conseguire correlate responsabilità o ricorsi di cittadini italiani o comunitari.
Avv. Vania Cirese
Patrocinante in Cassazione. Esperto alla Commissione Europea e consigliere Giuridico a contratto al Parlamento Europeo di Strasburgo.
Docente a contratto di “Diritto Sanitario” presso la Scuola di specializzazione in Ostetricia e Ginecologia dell’università degli Studi di Roma “Tor Vergata”; Docente di Diritto Penale e Processuale Penale alla Link Campus University di Roma