Massimo Scaccabarozzi è al suo secondo mandato come Presidente di
in Farmindustria. Classe 1960, laureato in farmacia, AD di Janssen Italia, sposato, con due figli, gran appassionato di rock e musicista lui stesso, quando può.
“Sono un ottimista di natura. E quindi voglio pensare che questa volta il buon senso prevarrà e che i tagli al farmaco non arrivino. Anzi. Credo che questo sia il periodo giusto per investire in questo settore”.
Si conclude così la nostra lunga intervista con questo cinquantaquattrenne dal sorriso franco e disponibile. Tra poco si cambierà d’abito e indosserà quelli del rocker con la sua JCBand, di cui è voce e chitarra, per un
concerto a sostegno della lotta all’Ebola e dell’Associazione Medici per l’Africa CUAMM. Insieme a lui sul palco ci sarà anche Giovanni Rezza dell’Iss. Insomma una band molto particolare...
Poche ore al concerto e meno di due settimane da una data fatidica: il 31 gennaio, entro la quale Regioni e Governo devono trovare l’accordo su dove e quanto tagliare per risparmiare i 4 miliardi previsti dalla stabilità. Altrimenti scatterà la clausola di salvaguardia che lascerebbe le mani libere al Governo. Compresa la possibilità di una riduzione del fondo sanitario nazionale.
L’intervista si è svolta nello studio di Scaccabarozzi, a Largo del Nazareno, a due passi della sede del Pd di Matteo Renzi. “Renzi ha visto giusto – ci dice il presidente di Farmindustria. L’impresa del farmaco è uno dei pochi asset strategici italiani sui quali contare per il rilancio dell’economia. E lui l’ha capito. Mi spiace che le Regioni non la vedano allo stesso modo”.
Un gioco delle parti, presidente Scaccabarozzi? Oppure effettivamente Renzi sta dalla vostra e le Regioni contro?
Non penso vi sia un gioco delle parti. Siamo di fronte a due visioni diverse. Da una parte questo Governo, e in particolare il suo Presidente e il ministro della Salute Lorenzin, che hanno capito che sulla farmaceutica più che tagliare si deve investire. Dall’altra le Regioni, ma non tutte, che vedono nella spesa farmaceutica il bottone più facile da spingere per ottenere risparmi. Quando dico non tutte, mi riferisco per esempio a Lombardia, Lazio e Toscana che sanno bene cosa comporti in termini di lavoro e ricchezza l’avere sul proprio territorio una realtà consolidata nel farmaceutico. Ma quando sono in “conclave”, nella Conferenza delle Regioni, escono proposte vecchie, se non autolesioniste, come quella di auto ridursi il fondo sanitario operando tagli soprattutto sulla farmaceutica.
Può darsi che sia così, resta il fatto che quei 4 miliardi della stabilità vanno trovati?
Ma chi l’ha detto che vadano trovati per forza nella sanità? Certo se parliamo di sprechi e inefficienze ci mancherebbe che non sia d’accordo col fatto che essi vadano tagliati. Ma, come voi stessi avete rilevato in un vostro studio, nei bilanci delle regioni, tolta la sanità, restano quasi 100 miliardi di spese su cui operare risparmi. Vogliamo pensare che in quelle voci di bilancio non sia possibile ottimizzare qualcosa senza toccare i servizi per i cittadini? Ma andiamo!
E sulla sanità non si può far nulla? Va tutto bene così?
Certo che si può intervenire. Prima di tutto valutando bene i costi e i benefici di ogni azione che si intraprende. Se un farmaco mi cura totalmente una malattia, come sta per accadere ad esempio con i nuovi medicinali per l’epatite C, devo contare solo il costo del farmaco nella logica dei tetti oppure considerare quanto risparmio evitando che quella persona affetta dall’epatite vada in cirrosi, sviluppi un cancro e ricorra alla fine al trapianto di fegato? Vogliamo dire che c’è un rapporto di uno a dieci? Penso di non sbagliarmi di molto. E allora ragioniamo così. In tutti i settori, non solo in quello farmaceutico, e vedrà che i bilanci della sanità in poco tempo si aggiustano. Con beneficio delle casse pubbliche e della salute dei pazienti che avranno cure e assistenza più appropriate e meno invasive.
A proposito di tetti di spesa, la Corte dei conti ha rilevato ancora una volta che quello della farmaceutica ospedaliera è costantemente sfondato…
Si potrebbe parlare di sfondamento in presenza di un tetto di spesa programmato sulla spesa storica e sui reali fabbisogni. Nel caso della farmaceutica ospedaliera il tetto è sotto finanziato da sempre. Superarlo è ormai una consuetudine obbligata perché in fondo a pagare non sono solo le Regioni ma le imprese farmaceutiche. Un tetto del genere non ha senso e parlare di sfondamenti è sbagliato concettualmente. Bisogna parlare di sottostima volontaria. Che è un’altra cosa.
E quindi?
Quindi, se si vuole restare nella logica dei tetti stabiliti per inciso non vedo perché la farmaceutica sia da sempre l’unica voce di spesa ad avere tetti vincolanti – si attui una programmazione seria ma tenendo anche conto di quel ragionamento che abbiamo appena fatto sui costi-benefici. Se un farmaco mi risolve una malattia importante devo considerare che quella spesa, mi potrà sì far salire il fabbisogno, ma contestualmente mi farà risparmiare su altri capitoli di spesa sanitaria. Ne devo tener conto. La sanità non può essere analizzata e programmata a compartimenti stagni. Non ha senso.
Sta giustamente insistendo molto sui farmaci innovativi. In proposito pensa che il miliardo messo a disposizione del nuovo fondo per l’innovazione sia sufficiente?
Per l’epatite C penso di sì. Anche perché alla fine tra negoziazione del prezzo effettivo per le Asl e pay back alle Regioni costerà molto meno di quanto scritto in gazzetta (
Ndr. 45mila euro, prezzo ex factory per il primo della nuova generazione di farmaci anti epatite C autorizzato dall’Aifa ai primi di dicembre). Ma per le altre malattie per le quali sono in arrivo importanti novità farmacologiche quel miliardo non basterà. Il fondo previsto dalla stabilità va bene. E’ una presa in carico di responsabilità importante, ma la via, lo ripeto, è quella di una considerazione a 360 gradi del beneficio del farmaco rispetto al complesso delle cure. E questo ragionamento, che vale in assoluto, vale ovviamente molto di più quando parliamo di malattie importanti e di farmaci salvavita e risolutivi.
In questi giorni si è ricominciato a parlare di ticket, con varie proposte di riforma. Che ne pensa?
Guardi, mi limito ad osservare un dato, sul quale non sono ancora riuscito a spiegarmi con i miei colleghi esteri. Ma le pare normale che nel calcolo del tetto siano compresi anche i ticket?
Cioè?
Se lei paga un ticket sul farmaco contribuisce, o meglio compartecipa, alla spesa farmaceutica delle Asl. Eppure nel computo del tetto ai fini del pay back vengono considerati perché si tiene conto del prezzo al pubblico dei medicinali, compresa la quota dei ticket, e così noi alla fine ripianiamo anche quelli. E’ assurdo! Per il resto è indubbio che il sistema di compartecipazione debba essere più equo e più attento ai bisogni e alle disponibilità economiche delle persone. Ma su questo sta lavorando il Governo e ancora non mi sembra vi sia qualcosa di concreto su cui discutere. Vedremo a cose fatte.
In questo quadro, soprattutto in riferimento alla sostenibilità del sistema, si torna a parlare sempre più spesso di sanità integrativa. Come vede questa ipotesi?
Le aziende farmaceutiche sono state tra le prime a sposare l’idea di offrire ai dipendenti una copertura sanitaria integrativa da negoziare nell’ambito del contratto di lavoro. Ed è stata una scelta apprezzata e sempre confermata negli anni. Ora questo tipo di accordi si stanno moltiplicando in molti altri comparti produttivi ma penso che la vera svolta sarà quando riusciremo a dare programmazione e organizzazione a quei 30miliardi di spesa privata out of pocket che ogni anno gli italiani sostengono per bisogni sanitari al di fuori del Ssn. Un approccio mutualistico o assicurativo a questo flusso di risorse potrebbe consentire di calmierare i prezzi e di vigilare sulla qualità e l’appropriatezza delle prestazioni, a tutto beneficio dei consumatori. Diventando inoltre un elemento di sostegno al Ssn, sia dal punto di vista economico sia per la copertura dei bisogni di cura e assistenza dei cittadini.
Nelle ipotesi circolate in questi giorni sul ddl concorrenza si è parlato di possibili nuove liberalizzazioni per i farmaci della fascia C. Che ne pensa?
Penso che dopo le sentenze della Corte di Giustizia Europea prima e della nostra Corte Costituzionale dopo, non vi siano margini. Non solo normativi ma neanche logici perché si continua a riproporre situazioni ormai chiuse da sentenze definitive.
A proposito di farmacie. Il milleproroghe ha rinviato ancora il nuovo sistema di remunerazione della filiera del farmaco. Come mai non si è riusciti a trovare la quadra?
Forse perché va bene il sistema attuale, sperimentato da anni con ottimi risultati per tutti. Nelle ipotesi di revisione, che si sono alternate dal varo della legge del 2012 che la prevedeva, c’erano palesi incongruenze. Una su tutte quella che, al fine di far tornare i conti con i nuovi parametri ipotizzati, si otteneva il paradosso di un aumento del prezzo di alcuni farmaci ex lege, intervenendo in modo assolutamente improprio su prezzi negoziati tra Aifa ed aziende. Un paradosso, insomma. Ed è solo un esempio. Se con le nuove regole si punta invece, come giusto, a valorizzare i nuovi servizi extra farmaco che sono chiamati a svolgere le farmacie, si pensi a una remunerazione ad hoc per quei servizi senza stravolgere un sistema che, lo ripeto, funziona bene così com’è.
Si è appena conclusa la riunione del tavolo sulla farmaceutica al Mise. Qualche novità?
È importante che il tavolo, con il Viceministro De Vincenti sia ripartito. C’è stata una prima presa di contatto e si è discusso di sostenibilità e per l’appunto di come poter finanziare tutti i farmaci innovativi che stanno già arrivando e che arriveranno nei prossimi mesi. Il fondo per l’innovazione, come abbiamo già detto, è un buon punto di partenza. Ma l’obiettivo è ridefinire la governance del settore e superare definitivamente la logica dei tetti. Che non regge veramente più.
Un’ultima questione. In tutti questi terribili anni di crisi economica e finanziaria, i pochi titoli che non hanno subito scossoni sono quelli delle farmaceutiche. Eppure, in Italia, il settore appare sempre appeso a un filo, perché?
Perché da noi prezzi e regole seguono prassi e iter al di fuori dei parametri internazionali. Abbiamo i prezzi più bassi d’Europa, sistemi come quello del pay back che, seppur nati in una logica di condivisione delle dinamiche di spesa, oggi sono applicati male. Con aziende che alla fine vedono dimezzati i loro fatturati su farmaci venduti allo Stato a prezzo concordato. Abbiamo tempi di immissione in commercio diversi tra una Regione e l’altra con attese che arrivano anche ad un anno e oltre rispetto all’autorizzazione Aifa. E, per inciso, la legge Lorenzin del 2013 per accelerare l’iter degli innovativi prevedendo un tempo massimo di 100 giorni per l’immissione in commercio in tutta Italia, stenta ancora a decollare…Ebbene l’insieme di queste incongruenze penalizza la farmaceutica che opera in Italia. Siamo un po’ la zavorra europea, quando potremmo essere la locomotiva della ripresa italiana. E questo, badi bene, non per una scelta deliberata dei nostri interlocutori istituzionali, che sarebbe comunque sbagliata, ma per motivi che appaiono più ideologici che altro e che caricano il nostro settore di valori negativi.
Come quelli emersi durante Farmacopoli?
Bah… all’epoca avevo ancora i calzoni corti. Certo, potrebbe essere. Ma le pare normale che più di 20 anni dopo, quegli errori, che certamente qualcuno commise, debbano ancora influenzare decisioni e politiche farmaceutiche? Renzi l’ha capito, come l’ha capito il ministro Lorenzin. Quei tempi non esistono più da anni. Siamo un comparto sano, trasparente, con tutti i numeri e le competenze in regola per essere l’orgoglio del nostro Paese. Per questo, nonostante tutto, sono ottimista. L’Italia ce la farà e noi con essa.
Cesare Fassari