Una scoperta strategica che consentirà di seguire il destino delle cellule staminali corrette per capire cosa succede dopo che sono state trasferite nell’organismo: come funzionano, come e se si riproducono, se si sviluppano in modo sano o impazziscono degenerando in cancro.
Le prime sperimentazioni. Per capire l’importanza del nuovo studio, bisogna partire dal primo successo clinico della terapia genica con vettori lentivirali, derivati dal virus Hiv responsabile dell'Aids, su due rare malattie genetiche dell'infanzia, la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich. “Avviati entrambi nella primavera del 2010, gli studi clinici di terapia genica hanno coinvolto ad oggi un totale di 16 pazienti (10 affetti da leucodistrofia metacromatica e 6 da sindrome di Wiskott-Aldrich), provenienti da tutto il mondo e che hanno migliorato le loro condizioni di salute” spiega con orgoglio
Luca Biasco, giovane ricercatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano-Tiget che ha presentato al Congresso l’abstract dello studio. La stessa sperimentazione è stata fatta anche su bambini affetti da Ada-Scid, una delle forme più comuni di immunodeficienze combinate gravi che costringe i bambini che ne sono colpiti a vivere "in una bolla".
Come funziona la terapia genica. Il trasporto di una o più copie del gene terapeutico avviene in genere grazie a dei virus modificati perché siano innocui ma ancora capaci di fare quello che normalmente fanno in natura: entrare nella cellula ospite e trasferirvi il proprio patrimonio genetico. Così manipolati, i virus diventano efficacissimi vettori per la terapia genica. In particolare, la tecnica utilizzata dai ricercatori dell'Istituto Telethon di Milano (Hsr-Tiget), guidati da
Luigi Naldini, prevede il prelievo delle cellule staminali ematopoietiche (addette cioè a generare i vari tipi di cellule del sangue) presenti nel midollo osseo del paziente e la loro correzione in laboratorio, tramite l'introduzione del vettore virale contenente il gene terapeutico. Così corrette, le cellule vengono nuovamente reintrodotte nell'organismo sostituendo le cellule malate e dando luogo a un sistema immunitario funzionante e a piastrine normali.
Il “viaggio” delle cellule sane.Ma dove finiscono le cellule sane infuse nel paziente? Quanto vivono? E che conseguenze possono avere? Fino ad oggi non c’erano risposte a queste domande. “Quando correggi geneticamente le cellule” spiega Biasco “il gene terapeutico si integra nelle cellule ma non si posiziona sempre nello stesso punto”. Il genoma di una cellula è composto da circa tre miliardi e mezzo di basi e ogni cellula corretta va a posizionarsi in basi diverse facendo così perdere le sue tracce. Ma sapere esattamente dove si poziona il vettore della cellula sana è di fondamentale importanza in primo luogo per motivi di sicurezza. “La loro posizione serve a verificare che queste cellule non impazziscano e degenerino poi in cancro. Inoltre, la loro localizzazione serve anche a valutarne l’efficacia per osservare se continuano a riprodursi e a permanere nell’organismo garantendo così il mantenimento del risultato terapeutico” prosegue il ricercatore. Ma un’altra importantissima ricaduta di questo studio riguarda la possibilità di poter studiare il sistema ematopoetico che include il sistema immunitario, i globuli rossi, le piastrine e tutto cio’ che riguarda la coagulazione.
Il “codice a barre cellulare”. Ora proprio grazie al successo della sperimentazione sui bambini portata avanti dal San Raffaele, i ricercatori hanno a disposizione il primo modello al mondo di cellule sane “etichettate” e, quindi, rintracciabili. “Dopo l’infusione nel paziente delle cellule corrette” spiega Biasco “si effettua un prelievo per vedere dove si sono posizionate perche’ il codice a barre cellulare offre un’analisi clonale estremamente precisa della popolazione di cellule proliferanti”. Si tratta del primo “sistema di rintracciabilità molecolare” dei cloni ematopoietici individuali che offre un’analisi dettagliata delle dinamiche delle cellule staminali ematopoietiche in vivo.
Lo sviluppo di farmaci genici. Ma che impatto ha tutto ciò sulla vita dei pazienti? “Alla luce del successo delle nostre sperimentazioni” annuncia Biasco “si sta lavorando in accordo con la farmaceutica GSK per la distribuzione a livello mondiale della terapia genica”. Trattandosi di un prodotto cellulare cosi’ complesso, saranno individuati alcuni centri in tutto il mondo per la produzione del virus vettore. “Poi il virus verra’ inviato presso i centri specializzati che lo correggono prelevando le cellule sane dal paziente e poi infondendo nello stesso le cellule corrette”. Una procedura che richiedera’ la presenza del paziente in ospedale per circa una settimana.
Diventare genitori anche con la leucemia. Sempre da uno studio italiano arriva una buona notizia per pazienti di leucemia mieloide cronica, un cancro del sangue che nel nostro Paese colpisce ogni anno circa 650 uomini e 500 donne (dati Airc). L’introduzione degli inibitori della tirosin chinasi (imatinib e inibitori di II generazione, dasatinib e nilotinib) nella clinica pratica ha cambiato profondamente la prognosi di questi pazienti. Anche chi ha ricevuto una diagnosi in fase cronica può aspettarsi un eccellente controllo della malattia e un buon tasso di sopravvivenza. Ma la questione della fertilità e della gravidanza devono essere affrontate subito, alla diagnosi. Ci sono diversi studi su pazienti in cerca di gravidanza o già incinte durante il trattamento con imatinib ma sono pochi quelli sugli altri inibitori della tirosin chinasi.
Lo studio del Gimema. Il gruppo di ricercatori del Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche nell'adulto) ha iniziato uno studio - il primo in Ue a valutare concepimento e gravidanza in coppie con uno dei due partner malato di leucemia mieloide cronica - per descrivere gli esiti delle gravidanze e dei tentativi di concepimento in pazienti affetti da leucemia mieloide cronica dal 2013 al 2015. Attualmente sono stati arruolati 63 pazienti (43 uomini e 20 donne) con un’età delle donne incinte che oscilla dai 22 ai 37 anni. Sono stati raccolti i dati di 71 gravidanze la maggior parte delle quali spontanee e tre da fecondazione assistita. Tutte le gravidanze sono state portate a termine, due sono in corso e sei si sono concluse con un aborto spontaneo a tre mesi. Al momento della gravidanza o del concepimento, 8 pazienti erano in trattamento con Nilotinib, 4 con Dasatinib, tre con Bosutinib mentre i restanti erano in cura con Imatinib o erano in una fase iniziale senza alcun trattamento. Tutte le gravidanze proseguite hanno avuto un decorso normale, a parte due distacchi di placenta, un rischio di aborto, un caso di diabete gestazionale con ritardo della crescita intrauterina, un caso di scarsa presenza di liquido amniotico, una displasia congenita dell'anca e un ritardo di parola in una bimba di 36 mesi. Gli autori definiscono questi primi risultati incoraggianti, anche se da approfondire con ulteriori analisi e allargando l'indagine ad altri centri italiani.
Emanuela Vinci