I pazienti con tumore alla prostata che presenta la proteina AR-V7 ‘troncata’ - rintracciabile nel sangue – sembrano non rispondere a due farmaci di ampio utilizzo, l’enzalutamide e l’abiraterone. Ad affermarlo è un team di ricercatori del Johns Hopkins Kimmel Cancer Center, negli Stati Uniti, che ha pubblicato i risultati dello studio sul
New England Journal of Medicine.
Il cancro alla prostata si serve degli ormoni androgeni per crescere. L’enzalutamide e l’abiraterone colpiscono gli androgeni e bloccano la capacità dei recettori di attivare le cellule tumorali prostatiche. L’AR-V7 è una forma troncata del recettore, cui manca proprio la parte che rappresenta dei due farmaci. Ad identificare questa variante è stato nel 2008,
Jun Luo, Ph. D, del Johns Hopkins.
Nello studio odierno, i ricercatori hanno preso in considerazione due gruppi ciascuno di 31 uomini con tumore alla prostata in fase metastatica e con valori dell’antigene prostatico specifico PSA in crescita, nonostante i bassi livelli di testosterone. Durante lo studio, gli esperti somministravano ad un gruppo di pazienti l’enzalutamide e all’altro l’abiraterone, misurando se i livelli di Psa continuassero a salire, prova dell’inefficacia del trattamento.
I risultati evidenziano che i due farmaci funzionano nell’80% dei casi, ha affermato
Emmanuel Antonarakis, M.D., assistant professor di Oncologia al Johns Hopkins e primo autore del paper, mentre circa il restante 20% - 18 pazienti - non trae beneficio. In particolare, nel gruppo dell’enzalutamide, nessuno dei 12 pazienti con AR-V7 positivo ha risposto al farmaco, mentre dei 19 pazienti rimanenti nel gruppo, tutti con AR-V7 negativo, dieci hanno mostrato una risposta. Nel gruppo cui è stato somministrato l’abiraterone, tutti e sei i pazienti con AR-V7 positivo non hanno tratto beneficio dal farmaco; mentre dei rimanenti 25, 17 hanno presentato un risultato.
“Finora non eravamo in grado di indicare quali pazienti non avrebbero risposto alle terapie”, ha dichiarato
Antonarkis. “Se i nostri risultati verranno confermati da altri ricercatori, un test del sangue potrebbe predire la resistenza all’enzalutamide e all’abiraterone, e consentirci di indirizzare i pazienti con test positivo per l’AR-V7 verso altri tipi di terapie, risparmiando tempo e soldi evitando una terapia inutile”. Antonarkis ha aggiunto che la AR-V7 troncata potrebbe apparire nei campioni di sangue del paziente all’inizio della terapia oppure essere acquisita più tardi, quando la terapia è già iniziata. Il test “potrebbe anche essere utilizzato per monitorare i pazienti in trattamento con l’enzalutamide o l’abiraterone per l’AR-V7, fornendo indicazione del fatto che il farmaco potrebbe non funzionare per molto più tempo”
I ricercatori, inoltre, hanno misurato la sopravvivenza libera da progressione di malattia: nel gruppo trattato con enzalutamide, tale sopravvivenza era di 2,1 mesi per i pazienti con AR-V7 positiva contro i 6,1 mesi negli altri pazienti; mentre nel gruppo trattato con abiraterone il parametro era pari a 2,3 mesi nei pazienti con la variante positiva contro i 6 mesi degli altri pazienti.
Inoltre, nel gruppo trattato con enzalutamide la sopravvivenza complessiva era di 5,5 mesi (pazienti con AR-V7 positiva) contro 9 mesi (pazienti con AR-V7 negativa); mentre nel gruppo trattato con abiraterone, la sopravvivenza complessiva era di 10,6 mesi (AR-V7 positiva) contro 12 mesi (AR-V7 negativa).
Lo studio è stato finanziato dalla Prostate Cancer Foundation, Department of Defense, e dal National Institutes of Health's National Cancer Institute.
Viola Rita
*Emmanuel Antonarkis et al., AR-V7 and Resistance to Enzalutamide and Abiraterone in Prostate Cancer, The New England Journal of Medicine, 3 settembre 2014