Esiste un movimento transnazionale che vuole ribaltare le regole fondamentali che sono alla base dei processi di approvazione dei farmaci nei paesi avanzati, cioè l’obbligatoria dimostrazione di evidenze di efficacia e sicurezza come presupposto per l’immissione sul mercato di qualunque terapia. Ne sono convinti
Paolo Bianco, esperto di staminali e professore di Patologia alla Sapienza di Roma, e
Douglas Sipp, capo dell’Office for Research Communication at the RIKEN Center for Developmental Biology in Kobe, Giappone, che su Nature mettono in guardia da nuovi e pericolosi business e da vicende che stanno rendendo le cellule staminali un grimaldello per indebolire il sistema regolatorio allentando le restrizioni dettate dagli enti in questo ambito.
Per Bianco e Sipp si tratta di nuove imprese finanziarie costruite sulla sofferenza umana e che, grazie a movimenti di opinione spesso non competenti, richiamano alla “libertà di scelta” per sollecitare l’immissione sul mercato di terapie in fase precoce e con dimostrazione di sicurezza ed efficacia insufficiente. Insomma, si tratterebbe per gli autori di profitto tratto dalla “vendita di speranza”. Ma per Bianco e Sipp “la sola idea di mettere dei prodotti in vendita e nei corpi dei consumatori sulla base di dati di fase 1 è allarmante” perché esporrebbe i pazienti a rischi. “Studi clinici in fase iniziale rivelano solo se un prodotto è abbastanza sicuro per continuare i test, non per un utilizzo diffuso”, sottolineano i due esperti spiegando che di circa l'80% dei prodotti che passano la fase I falliscono i test successivi: circa la metà di questi dimostra di essere non sufficientemente efficace e circa un quinto non sufficientemente sicuro.
“Tribunali, scienziati, medici e studiosi di etica hanno dimostrato che i prodotti a base di cellule staminali dovrebbero essere regolamentati come farmaci se sono trattati o se la destinazione del loro comportamento terapeutico è in qualche modo differente da quella prevista nella loro posizione originale”, sottolineano Bianco e Sipp esprimendo infine il timore che, “senza l’obbligo di dimostrare l’efficacia, diminuirebbe anche il bisogno di effettuare ricerca. In questo modo eventuali nuovi trattamenti potrebbero non essere scoperti e sviluppati”.