Fondi permettendo, il vaccino dell’Aids potrebbe essere registrato entro la fine del 2018. L’ha dichiarato
Barbara Ensoli, vicepresidente della Commissione Nazionale Aids, a margine della VI edizione di Icar (Italian conference on Aids and retrovirus), promosso da Simit (Società italiana malattie infettive e tropicali). “Abbiamo completato la fase 2 in Italia, con 168 persone, ottenendo risultati incoraggianti – ha dichiarato Ensoli -. Stiamo terminando una fase 2 in Sudafrica, con 200 persone, dove partirà a breve la fase 3, quella finale. Circa tale vaccino terapeutico, i dati preliminari sono estremamente promettenti, ma ci vogliono ancora alcuni anni per renderlo disponibile. Quest’attesa dipende dalla mancanza di fondi, ma per fine 2018 dovremmo riuscire a registrare il vaccino nel Sudafrica, per poi procedere in Europa e in America”.
A margine del congresso, Barbara Ensoli commenta la notizia sul vaccino “privatizzato”. Secondo l’
inchiesta del mensile Altreconomia ripresa da Quotidiano Sanità, pubblicata sul numero di maggio, infatti, sono stati stanziati finora 49 milioni di euro di soldi pubblici per la ricerca del vaccino, ma dei risultati potrebbe beneficiarne un ente privato. Secondo l’approfondimento, oggi una parte rilevante dei brevetti è stato ceduto alla Vaxxit srl, con un capitale sociale pari a 10 mila euro per il 70% appartenente alla stessa Barbara Ensoli.
“I fondi per registrare il vaccino in Sudafrica oscillano tra i 35 e i 40 milioni di euro. Per le fasi successive serviranno altri 50-60 milioni per procedere in Europa e in America. Noi finora abbiamo speso 26,8 milioni di euro pubblici. Fare una startup è l’unico modo per reperire questi fondi, perché il pubblico non li ha. La cosa peggiore che trovo in Italia è l’ignoranza: prima di parlare occorrerebbe studiare correttamente la situazione che si commenta. Saranno gli investitori stessi a cogliere i frutti economici di questa ricerca; stesso discorso per quanto riguarda lo Stato Italiano”.
“Dall’Aids non si guarisce, ci si cura – ha concluso Ensoli -. E ancora non è neanche certo che il vaccino riesca ad eradicare il virus. La terapia costante, inoltre, non è in grado di risolvere tutti i problemi: persiste un difetto nel sistema immune, e c’è una forte immunoattivazione, che è causa di molte malattie legate alla vecchiaia, quali l’infarto cardiaco, i tumori, invecchiamento precoce. Si calcola che i pazienti in cura abbiano sette volte maggior rischio di morte rispetto ai soggetti mai infettati”.
In questi ultimi anni il numero di nuove diagnosi di infezione da HIV si è stabilizzato su circa 4000 nuovi casi all’anno.
Nel 2012, più della metà delle segnalazioni sono pervenute da tre regioni: Lombardia (27,6%), Lazio (14,5%) ed Emilia-Romagna (10,4%). E’ possibile stimare che circa 150mila persone in Italia siano sieropositive. Il dato allarmante è che l’età in cui viene posta la diagnosi sia sempre più alta con una età mediana di 38 anni per i maschi e di 36 anni per le femmine. Questo dato si accompagna alla conferma che la diagnosi viene posta sempre più frequentemente troppi tardi, quando l’infezione ha già determinato gravi danni all’immunità.
“Le nuove possibilità terapeutiche – ha siegato
Massimo Andreoni, Presidente del Congresso e Presidente Simit - rendono oggi questa malattia controllabile nella maggior parte dei casi. Il ridotto interesse da parte dei media ha determinato una perdita di attenzione da parte della popolazione alla trasmissione di questa malattia. E’ utile ricordare che i farmaci che oggi possediamo sono estremamente efficaci ma non in grado di eradicare l’infezione e quindi il trattamento della malattia deve essere considerato cronico per tutta la vita con le conseguenze che questo può determinare”.
"Non assumono la terapia con un’aderenza ottimale, pari al 95% del trattamento proposto, il 15/20% dei pazienti – ha proseguito Andreoni - Questo costituisce la prima causa di fallimento della terapia. Tra le altre questioni che provocano una interruzione delle terapie la tossicità e la tollerabilità”. “Un fallimento, invece, si conta intorno all’80% - ha concluso il presidente Simit - La “perdonabilità” vale soltanto per alcuni farmaci, ma la buona aderenza permette il successo del regime. Ma questo discorso vale anche per tutte le altre malattie croniche. I tossicodipendenti o ex sono meno aderenti, idem per i più giovani. Ma anche lo stile di vita e la professionalità contribuisce all’aderenza”.