Il pirfenidone, l’unico farmaco ad oggi approvato per il trattamento della Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) di grado da lieve a moderato, ha mostrato effetti significativi rispetto alla lotta all’IPF, in termini di riduzione della progressione della malattia, misurata attraverso la variazione percentuale della capacità vitale forzata (FVC). Ad affermarlo, oggi, è uno
studio di fase 3, chiamato ASCEND, i cui risultati sono appena stati pubblicati su
the New England Journal of Medicine e presentati durante la Conferenza Internazionale dell’American Thoracic Society (ATS) a San Diego. I risultati sono stati illustrati dal Dottor
Talmadge King (direttore del Dipartimento di Medicina dell'Università della California di San Francisco e co-presidente del comitato di coordinamento dello studio ASCEND); l’annuncio arriva da InterMune che ha finanziato lo studio e sviluppato il farmaco.
In generale, la fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia cronica, progressiva e irreversibile. Questa malattia è caratterizzata da una graduale perdita della funzione polmonare a causa di fibrosi (cicatrizzazione) nei polmoni, ostacolati nella loro capacità di assorbire ossigeno. In media, il tempo di sopravvivenza dalla diagnosi è di 2-5 anni, con un tasso di sopravvivenza a cinque anni di circa il 20-40%: questi dati rendono l'IPF più letale di molti tumori, compresi quelli della mammella, dell’ovaio e del colon retto.
Negli studi precedenti a questo, gli endpoint relativi alla riduzione della progressione della malattia sono stati raggiunti in due dei tre trial di fase 3; nel terzo non sono stati ottenuti e, come si legge nello studio, gli scienziati in questo studio mirano proprio a confermare l’effetto benefico del farmaco anche in questi pazienti.
Lo studio ha preso in considerazione 555 pazienti affetti da IPF, che ricevono una terapia orale di pirfenidone (2403 mg al giorno) oppure del placebo per 52 settimane.
Oltre agli endpoint primari (relativi alla variazione della FVC), in questo caso effetti significativi del trattamento sono stati dimostrati su entrambi i principali endpoint secondari rappresentati dal test del cammino (Six-Minute Walk Distance, 6MWD, una metodica di misurazione della tolleranza all’esercizio fisico) e dal tasso di sopravvivenza libera da progressione della malattia (Progression-Free Survival, PFS).
“Se comparato con il placebo, il trattamento con Pirfenidone", spiega il Dottor King, "riduce la progressione della fibrosi polmonare idiopatica, come risulta dalla funzionalità polmonare, dalla tolleranza all’esercizio fisico e dalla sopravvivenza libera da progressione di malattia. Il trattamento è stato associato a effetti collaterali accettabili e pochissimi decessi”. Infatti, nello studio si legge che il profilo di sicurezza è favorevole. "Gli eventi avversi più comuni emersi dallo studio ASCEND, con maggiore incidenza nel gruppo pirfenidone, sono stati quelli gastrointestinali (nausea e dispepsia) e quelli cutanei (rash). Gli eventi avversi di natura gastrointestinale e i rash sono stati generalmente di severità da lieve a moderata, trattabili, reversibili e solo di rado hanno comportato l’interruzione del trattamento".
Sempre nello studio, si legge che il tasso di mortalità inferiore: “il trattamento con pirfenidone è stato associato a una minore mortalità, anche se lo studio non era stato disegnato per questa valutazione e non ha raggiunto una significatività statistica sulla mortalità. I risultati dello studio ASCEND sono stati però incrociati, in un'analisi prespecificata, con i dati provenienti dai precedenti studi di fase 3 CAPACITY, fornendo dati significativi degli effetti del trattamento con il pirfenidone sulla mortalità”, riferiscono gli esperti. “Il rischio di mortalità per tutte le cause è stato ridotto del 48% nel gruppo pirfenidone rispetto al gruppo placebo. Inoltre, nella popolazione studiata, il rischio di mortalità correlata al trattamento dell’IPF nel gruppo pirfenidone è stato ridotto del 68% rispetto al gruppo placebo”.
Questi dati “hanno inoltre evidenziato una significativa riduzione a 52 settimane della mortalità se paragonati al placebo”, ha spiegato, durante il Congresso a San Diego, il Professor
Carlo Albera, Direttore della Struttura Complessa di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’ Università di Torino. “Ciò rende l'IPF una malattia rara ma non più orfana di terapia; grazie alla lunga durata dell'esperienza con il Pirfenidone, è stato inoltre possibile elaborare semplici strategie in grado di minimizzare gli effetti collaterali del farmaco”.
Viola Rita