Da un nuovo test predittivo a 10 anni, approdato in Italia dagli USA, alla biopsia mirata in risonanza magnetica nucleare, dalle terapie focali che preservano la sfera sessuale fino al laser per l’ipertrofia che salvaguarda la continenza e la sessualità. Di questo ed altro si parlerà al 9° Congresso Nazionale Urologi dell'Ospedalità Privata (UrOp), che si terrà ad Abano Terme (PD) dal 22 al 24 maggio prossimi e che vedrà l’intervento esperti del settore, quali il Dottor
Stefano Pecoraro, Presidente dell’UrOp e Direttore di Urologia e Andrologia Chirurgica (Clinica Malzoni, Avellino), il Dottor
Giovanni Ferrari, Direttore dell’Unità Complessa di Urologia e Andrologia (Hesperia Hospital, Modena) e il Dottor
Angelo Porreca, Direttore Unità Operativa di Urologia, (Policlinico Abano Terme).
Il tumore alla prostata è una malattia che in Italia colpisce il 30% degli uomini al di sopra dei 50 anni, con 40 mila nuovi casi ogni anno.
Tra gli strumenti predittivi, “a partire dalla diagnostica genetica, un nuovo test molecolare indaga le caratteristiche genetiche della malattia andando a misurare l'attività di geni associati alla crescita del tumore”, riferiscono gli esperti. “Questo test, made in USA (e precisamente messo a punto nei laboratori di biologia molecolare di Salt Lake City), è predittivo a 10 anni ed è in grado di determinare la tipologia e l’aggressività del tumore".
“In sostanza il test è in grado di valutare l'aggressività del tumore”, spiega il dottor
Stefano Pecoraro, tra i primi ad utilizzarlo. "Tale test indaga il Dna del carcinoma prostatico basandosi su un campione di tessuto ottenuto con la biopsia oppure durante l’intervento chirurgico.Il test fornisce all’urologo una valutazione sul rischio di mortalità e di recidiva a 10 anni, permettendogli di poter scegliere il trattamento ottimale, valutare se sia meglio adottare una strategia di trattamento precoce, quando la natura del tumore si sia rivelata aggressiva, oppure una strategia conservativa o ‘di sorveglianza’, evitando gli effetti collaterali spesso conseguenti alla prostatectomia radicale. Circa 200 pazienti sono già stati sottoposi al test in tutta Italia”.
E poi, la Biopsia Prostatica Mirata in Risonanza Magnetica consente di effettuare una biopsia nel punto esatto in cui si trova e cresce il tumore, riferiscono gli esperti, se la risonanza evidenzia un nodulo sospetto la biopsia viene eseguita direttamente durante la risonanza. In questo modo “è possibile effettuare una biopsia mirata nel punto esatto in cui si trova e cresce il tumore”, spiega il Dottor
Angelo Porreca. “Se la risonanza evidenzia un nodulo sospetto, la biopsia viene eseguita direttamente durante la risonanza. Fino ad oggi la biopsia veniva guidata dall’immagine ecografica, che non riesce a distinguere il tessuto neoplastico da quello normale (ecograficamente il tumore ha lo stesso aspetto del tessuto normale). Senza l’ausilio della risonanza magnetica le biopsie alla ricerca della malattia si effettuavano con numerosi prelievi multipliper aumentare la possibilità di individuare il cancro. La nuova tecnologia diagnostica risparmia al paziente il disagio dei multipli prelievi, riduce il rischioinfezioni e aumenta il potere diagnostico della biopsia”.
Inoltre, le terapie focali ablative dell’area tumorale consentono di non rimuovere l’intera ghiandola, evitando il rischio di impotenza e incontinenza legato alla chirurgia radicale. Queste terapie “consentono di non rimuovere l’intera ghiandola evitando gli invalidanti problemi di incontinenza e di impotenza, spesso conseguenti alla chirurgia radicale (secondo recenti dati 1milione e 200mila interventi l’anno nel mondo) e anche della radioterapia”, ha spiegato il Dottor Pecoraro. “Si tratta di tecniche non invasive in grado di eliminare piccoli tumori situati all'interno della prostata lasciando questa nella sua sede, risparmiando la maggior parte del tessuto. I vantaggi connessi sono numerosi e consistono nella distruzione delle zone specifiche interessate dal tumore preservando il tessuto sano e la funzione specifica della ghiandola, con effetti collaterali indesiderati temporanei e meno gravi di quelli conseguenti alla chirurgia tradizionale; possibilità di effettuare una eventuale susseguente prostectomia radicale, la radioterapia oppure altro intervento focale su altra area della prostata; il più delle volte la terapia focale può essere eseguita ambulatorialmente oppure con un solo pernottamento in ospedale”.
Tra le tecniche praticabili, da scegliere in base alle dimensioni della prostata, alla posizione del tumore e dalle sue dimensioni, al livello del Psa e al grado di aggressività del tumore, ci sono le seguenti metodiche: Interstitial Laser Therapy, Crioablazione, High Intensity Focused Ultrasound (Hifu), Elettroporazione irreversibile (Ire), Vascular mirata terapia fotodinamica (Vtp).
Infine, l’ingrossamento benigno della prostata colpisce otto italiani su 10 con età al di sopra dei 50 anni: in questo caso, uno strumento a disposizione dello specialista può essere il laser per l’ipertrofia al triborato di litio, una metodica che – riferiscono gli esperti - non provoca impotenza e rispetta il cuore. spper l’ingrossamento benigno della prostata che colpisce oltre l'80% degli italiani sopra i 50 anni si dimostra il mezzo vincente non solo negli States e in Europa ma anche nel nostro Paese. “Tale metodica vaporizza solo l’area interessata salvaguardando la sessualità e la continenza”, spiega il Dottor
Giovanni Ferrari. “Durante l'intervento il chirurgo ha una visione nitida e può preservare le strutture nobili - il rischio di deficit erettile passa dal 21 al 6%mentre la lesione dello sfintere dall'11% all'1%”. In Italia esistono già 21 centri che impiegano questa metodica, con un incremento semestrale del 180, riferiscono gli esperti
“Grazie all'istantanea coagulazione dei vasi che evita sanguinamento, Il laser al triborato di litio è l’unico trattamento che consente di intervenire in assoluta sicurezza anche con pazienti finora inoperabili e obbligati a portare il catetere per tutta la vita, come quelli con malattie cardiovascolari, della coagulazione e i portatori di stent endocoronarici in terapia con farmaci anticoagulanti e/o antiaggreganti”, prosegue Ferrari. “Questi pazienti non sono più costretti a sospenderli, come invece avviene per gli interventi chirurgici tradizionali. Altri notevoli vantaggi sono l’assenza di sanguinamento e il decorso postintervento senza trasfusioni (il ricorso a trasfusioni si riduce da 26% al 3%), nonché la degenza di una notte di ricovero e il ritorno alle normali attività nel giro di una settimana”.