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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Il "test della morte". Un esame del sangue per sapere se saremo ancora vivi tra 5 anni

di Maria Rita Montebelli
immagine 3 marzo - A indicarlo quattro biomarcatori individuati da un gruppo di ricerca estone-finnico. Si tratta dell’alfa-1 glicoproteina acida, dell’albumina, del volume delle particelle VLDL e del citrato. A secondo del loro livello nel sangue si può capire se moriremo o meno a breve scadenza. La ricerca è stata pubblicata su Plos Medicine
Basterà un prelievo di sangue per stabilire la data della propria morte. E’ la sconcertante conclusione alla quale sono giunti un gruppo di ricercatori dell’Estonian Genome Center dell’ Università di Tartu (Estonia), dell’Università di Helsinki e dell’Università di Oulu (Finlandia) che hanno pubblicato il loro lavoro su Plos Medicine. In pratica, con un banale esame del sangue sarà possibile, secondo i ricercatori nord-europei, identificare, all’interno della popolazione generale, i soggetti ad alto rischio di morire a breve scadenza, e questo consentirebbe di concentrare su di loro gli sforzi di prevenzione.
 
Per scoprire quali biomarcatori utilizzare per prevedere le chance di morte imminente di un individuo, i ricercatori hanno condotto un’indagine a tappeto su 106 biomarcatori putativi, sottoponendo i campioni di sangue depositati presso la Estonian Biobank (circa 10mila individui di età compresa tra i 18 e i 103 anni) ad una spettroscopia NMR ( di risonanza magnetica nucleare), un esame che consente di fare un rapido screening su un ampio numero di biomarcatori.
 
Durante un periodo di follow up medio superiore a 5 anni, sono stati registrati 508 decessi tra questa coorte di persone. I ricercatori hanno dunque cercato di individuare quali biomarcatori correlassero in maniera statisticamente significativa con il rischio di morte a breve scadenza.
E i ‘tarocchi’ individuati come essenziali per leggere le carte del futuro sono stati: l’alfa-1 glicoproteina acida (una proteina di fase acuta, prodotta dal fegato), l’albumina (è un marcatore di funzionalità del fegato e dei reni; se i suoi livelli sono bassi, è un elemento di prognosi negativa), il volume delle particelle VLDL  (maggiore è il loro volume, minore il rischio di morte) e il citrato (una molecola coinvolta nel ciclo di Krebs, quindi nella ‘respirazione’ e nel metabolismo delle cellule; se i suoi livelli sono molto alti, aumenta il rischio di morte per cause non cardiovascolari).
 
A questo punto, i ricercatori hanno ripetuto lo studio su una popolazione finnica (7.503 soggetti, appartenenti alla coorte del FINRISK study, 176 dei quali sono morti nei cinque anni successivi al prelievo di sangue), riscontrando risultati simili a quelli del primo studio.
L’associazione tra questi biomarcatori e il rischio di decesso a breve termine per ogni causa (cardio-vascolare, tumorale, ecc), manteneva la sua validità anche dopo aver controllato la presenza di fattori di rischio noti, quali il colesterolo elevato, l’età avanzata, il fumo, l’abuso di alcol, l’obesità, il diabete o malattie preesistenti, quali un cancro.
La capacità predittiva dei quattro biomarcatori aumenta se si combinano tra loro, dando luogo ad un ‘biomarker score’. Nel gruppo estone, gli individui con il ‘punteggio’ più elevato, presentavano un rischio di morire entro i successivi 5 anni maggiore di ben 19 volte, rispetto agli individui che avevano totalizzato i punteggi più bassi.
 
Un biomarcatore è una molecola che si può trovare nel sangue, in altri liquidi corporei o all’interno di un tessuto e che è in grado di segnalare la presenza di una malattia o di una condizione anomala. I biomarcatori possono essere utilizzati per valutare il rischio di una determinata patologia (es. marker tumorali) o la risposta ad un trattamento. Fino ad oggi tuttavia nessuno si era cimentato nella ricerca di un biomarcatore della morte.
Lo studio dei ricercatori nord-europei suggerisce che i ‘quattro cavalieri dell’apocalissi’,  l’alfa-1 glicoproteina acida, l’albumina, il volume delle particelle VLDL e il citrato, soprattutto quando combinati tra loro, riescono a prevedere con una certa accuratezza le chance che ha un individuo della popolazione generale, in apparente buona salute, di essere ancora vivo a 5 anni.
Si tratta tuttavia di uno studio osservazionale, che non fornisce alcuna ipotesi circa i meccanismi alla base della correlazione tra questi biomarcatori e una vita di breve durata ; di conseguenza non può suggerire alcun trattamento mirato per gli individui portatori di questi biomarcatori di morte.
 
Potrebbero inoltre esserci dei marker ancora più precisi, che sono tuttavia sfuggiti all’analisi della spettroscopia di NMR e che potrebbero essere invece individuati utilizzando delle metodiche di esame ancora più sofisticate, quali la spettrometria di massa. Lo studio infine è stato condotto su due popolazioni nord europee e non è detto che questi biomarcatori mantengano la loro validità anche all’interno di altre popolazioni, quali quelle nord americane o mediterranee.
 
Di certo questo studio apre uno scenario assai suggestivo, sebbene in qualche misura spaventoso, che sarà, è facile prevederlo, oggetto di future ricerche.  Ma siamo veramente sicuri di voler conoscere il momento della nostra morte, soprattutto senza sapere come bloccare la corsa verso l’inesorabile?
 
Maria Rita Montebelli
3 marzo 2014
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