Oggi, i linfomi non-Hodgkin indolenti (circa la metà dei tumori non-Hodgking) e quelli mantellari, in quest'ultimo caso in pazienti di 65 anni o più, potranno essere trattati con bendamustina in prima linea: dal 30 gennaio, con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha acconsentito alla possibilità del trattamento per questo genere di patologia. L’accoglimento dell’Aifa è seguito alla richiesta presentata nel 2012 dalla Fondazione Italiana Linfomi: la Fondazione, in accordo con la Legge 648/96 e alla luce delle
evidenze positive emerse in uno studio pubblicato su
The Lancet, sollecitava l’estensione delle indicazioni terapeutiche del farmaco ai pazienti con linfomi non-Hodgkin indolenti e mantellari, non ancora sottoposti a regimi chemioterapici.
I linfomi non-Hodgkin sono al sesto posto tra i tumori più frequenti del mondo occidentale. La loro incidenza è in crescita negli ultimi trent’anni, come riportato dalla Fondazione Italiana Linfomi, e in Italia fa registrare oltre 10mila nuove diagnosi all’anno, costituendo il tumore ematologico più diffuso.
La Bendamustina è un agente anti-neoplastico contraddistinto da un doppio meccanismo d’azione, antimetabolita (inibisce l’attività dei metaboliti) e alchilante (sostanza capace di introdurre gruppi alchilici in determinati composti, con diverse proprietà terapeutiche). Finora, questo farmaco poteva essere impiegato nel trattamento dei linfomi non-Hodgkin indolenti solo nelle linee successive alla prima, in monoterapia o in associazione, nei pazienti ricaduti dopo terapia standard con CHOP-R (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone più rituximab).
“Le evidenze cliniche disponibili a marzo 2012 evidenziavano già che l’associazione bendamustina-rituximab (B-R) poteva rappresentare un’importante opzione di trattamento di prima linea per tutti i pazienti con linfomi indolenti e mantellari”, spiega
Pier Luigi Zinzani, Presidente Fondazione Italiana Linfomi (FIL) e Professore Associato presso l’Istituto di Ematologia e Oncologia Medica L. e A. Seràgnoli dell’Università di Bologna. “Successivamente, i risultati dell’ampio studio pubblicato su
The Lancet hanno dimostrato che la combinazione bendamustina e rituximab, nei pazienti con linfoma non-Hodgkin indolente e mantellare, raddoppia la sopravvivenza libera da progressione di malattia, rispetto al trattamento standard CHOP-R, indipendentemente dall’età. Il regime terapeutico con B-R ha inoltre determinato una percentuale di risposta completa superiore a quella ottenuta da CHOP-R”.
“Sotto il profilo della tollerabilità”, ha commentato Zinzani, “il trattamento con bendamustina e rituximab ha fatto rilevare, rispetto a CHOP-R, l’assenza di cardiotossicità, minori eventi avversi sia di natura ematologica, come la neutropenia, sia non ematologici, come le infezioni, le neuropatie periferiche, nausea e alopecia. La perdita di capelli, in particolare, è un effetto collaterale comunemente associato alla terapia con CHOP-R ma non ha riguardato nessuno dei pazienti trattati con B-R. I risultati dello studio europeo pubblicato su Lancet sembrano infine confermati anche dallo studio americano StiL NHL 1-2003, i cui risultati preliminari sono stati presentati al congresso internazionale della Società Americana di Ematologia (ASH), a Dicembre 2012. I dati oggi disponibili dimostrano chiaramente che la terapia con bendamustina e rituximab determina vantaggi in termini di efficacia e minore tossicità rispetto a CHOP-R, il trattamento fino ad oggi considerato di riferimento per i pazienti con linfomi non-Hodgkin indolenti”.
Viola Rita