Il
Nano World Cancer Day è un evento satellite del World Cancer Day (4 febbraio 2014) che si è tenuto il 31 gennaio 2014 simultaneamente in 13 paesi europei (Austria, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Regno Unito), per iniziativa della Piattaforma Europea di Nanomedicina, un’opportunità unica per far crescere la conoscenza e le potenzialità della Nanomedicina nella lotta contro il cancro, dalla diagnosi alla cura, grazie alla presenza dei maggiori esperti del settore. ETPN è una delle maggiori iniziative a livello europeo ed è focalizzata a rafforzare la capacità e la competitività dell' Europa di fare innovazione in nanomedicina. Le strategie e le future azioni della ETPN sono utilizzate come linee guida da autorità nazionali e soprattutto dalla Commissione Europea per definire le priorità degli obiettivi e dei progetti da finanziare nel prossimo programma Horizon2020. Horizon2020 rappresenta un'occasione unica per la Comunità Europea della Nanomedicina poichè promuove l'innovazione in sanità ed il rafforzamento del settore in Europa portando beneficio sia ai pazienti che all‘ Economia. Ad esempio, ora si è in grado di identificare sempre prima se un farmaco non sarà in grado di passare la fase di sperimentazione clinica, questo fa risparmiare fino a 100 milioni di dollari in costi di sviluppo per il farmaco stesso.
L’idea del NWC Day nacque lo scorso anno all’interno del progetto Europeo chiamato Nanomed2020, l’evento fu realizzato in sole tre nazioni ma con una significante risonanza mediatica. La Piattaforma Europea di Nanomedicina (ETPN) nasce nel 2005 come iniziativa guidata dall'industria e Istituti di ricerca. La Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus è tra gli enti fondatori con il suo Laboratorio di Nanomedicina e Biofotonica Clinica, il cui responsabile è
Furio Gramatica. A rappresentarlo al NWC Day la sua collaboratrice
Marzia Bedoni che ha illustrato l'applicazione delle nanotecnologie nella realizzazione di un test sul sangue per individuare la malattia residua, condizione oggi non risolvibile. Ma ecco come è nato questo test ,che promette di rivoluzionare non soltanto il problema della malattia residua nella leucemia mieloide acuta, ma di aprire nuove frontiere nella diagnosi e nella cura dei tumori.
L'IDEA – E' stato l’incontro fra un medico, l’oncoematologo dell’ospedale San Raffaele di Milano,
Fabio Ciceri e il fisico responsabile del Polo tecnologico della Fondazione don Gnocchi di Milano, Furio Gramatica, a far nascere una speranza in più di vita per i pazienti colpiti da leucemia mioloide acuta, una malattia, che oggi ha una prognosi favorevole, ma la diagnosi è ancora troppo tardiva e la guarigione completa non è supportata da analisi di laboratorio. Gramatica, ascoltando le parole del collega aveva già in mente che cosa fare: usare le nanotecnologie, un sistema per realizzare particelle grandi un miliardesimo di metro, in grado di rendere visibili i segni microspici della malattia per arrivare a una diagnosi più precoce e a stabilire l’effettiva guarigione del malato.
LA DIAGNOSI PRECOCE - Il funzionamento del sistema attuale di diagnosi ce lo spiega Furio Grammatica. In pratica si tratta di individuare le tracce di un biomarcatore della malattia, il WT1, sostanza espressa dall’organismo quando si ammala di leucemia mieloide. Questo marcatore aumenta quando c'è la leucemia, ma gli strumenti attuali sono in grado di identificarlo quando è presente in una determinata quantità, detta soglia limite. Infatti, nella pratica attuale, soltanto quando l'individuo presenta i sintomi della malattia, il laboratorio è in grado di andare a cercare i marcatori spia della malattia e può confermare la diagnosi soltanto quando i biomarcatori hanno superato il livello minimo di soglia. Allorché il clinico comincia il trattamento, se la terapia funziona il valore dei biomarcatori comincia a scendere, segno di un miglioramento della salute del malato. Ma quando il livello dei biomarcatori WT1 scende sotto il livello minimo di soglia, il test attuale non è in grado di stabilire la guarigione completa del paziente. Per il clinico la malattia è regredita, ma non può dire se il malato è guarito completamente, perchè non può escludere che ci siano ancora particelle cancerose in circolo.
LA FASCIA GRIGIA - Ecco che qui entrano in gioco le nanotecnologie che riescono a vedere le particelle presenti anche sotto la soglia minima, quella parte grigia della malattia non scrutabile. Il test che sta per essere messo a punto dalla Fondazione don Gnocchi ha tre gradi di applicazioni: come diagnosi precoce in pazienti selezionati che presentano una familiarità della malattia, quindi non devono aspettare né la comparsa dei sintomi e né che i marcatori superino il livello minimo di soglia. Nel corso del trattamento, permettono al clinico di vedere anche la più piccola variazione di biomarcatori e quindi di stabilire l’efficacia della terapia o di modificarla. Nella terza fase le nanotecnologie scandagliano la parte grigia della soglia limite, per stabilire se ci sono ancora cellule cancerose circolanti e quindi decidere se continuare con il trattamento terapeutico o bloccarlo.
LE NANOPARTICELLE - Ma quali strumenti si utilizzano per monitorare queste piccolissime presenze? Lo strumento, già in uso oggi per la diagnosi della malattia, è lo spettroscopio di Raman, la fonte che produce il fascio di luce che sollecitando una molecola ne rileva la composizione in base ai marcatori che si vogliono individuare. Il cuore dell’invenzione sta nell’utilizzo di nanoparticelle in grado di legarsi al biomarcatore di interesse e di amplificarne il segnale centinaia di migliaia di volte. Le nanoparticelle, che in genere sono frammenti di oro, opportunamente realizzate a forma di stella, vengono deposte in un pozzetto di un chip e si legheranno con i biomarcatori della goccia di sangue da esaminare. Quando il fascio di luce investe il composto, le nanoparticelle vibrano e amplificano il segnale di ritorno allo spettroscopio di Raman, che permette la lettura del risultato anche in presenza di pochissimi biomarcatori. Il test è in via di realizzazione e in caso di successo, la nuova metodologia potrà essere applicata alla diagnosi e al monitoraggio di altri tipi di malattie, anche virali o neurodegenerative.
Edoardo Stucchi