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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Scienza e Farmaci

Cervello. Come riconosce i movimenti. Un risultato per capire meglio autismo e altre patologie

di Viola Rita
immagine 14 gennaio - Identificate le due aree corticali della corteccia temporale coinvolte nel riconoscimento e nell’interpretazione delle nostre azioni non verbali. Le due aree operano autonomamente. Lo studio, su The Journal of Neuroscience, potrà avere ricadute nella terapia dell’autismo e di anoressia e bulimia
Sappiamo che il cervello percepisce e interpreta movimenti e gesti del corpo sia nostri che dei nostri interlocutori: oggi i ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Rovereto (Trento) insieme all’Università di Trento e a Rochester University, hanno studiato in che modo l’organo è in grado di farlo, individuando due distinte aree corticali della corteccia temporale coinvolte in questo meccanismo.
Il risultato, pubblicato su The Journal of Neuroscience, potrebbe essere importante nella terapia dell’autismo e di altre patologie della sfera socio-affettiva.  
 
“La nostra analisi ha individuato come le informazioni relative alla forma di un corpo e al suo movimento sono utilizzate dal cervello per definire la direzione del movimento e l’orientamento del corpo”, spiega la dott.ssa Lorella Battelli, coordinatrice del gruppo di lavoro e ricercatrice al Centro di Rovereto dell’Istituto Italiano di Tecnologia. “Quando dobbiamo riconoscere se un corpo che cammina abbia la testa orientata verso destra o verso sinistra, è molto importante che il nostro sistema visivo acquisisca informazioni sulla forma del corpo. Al contrario, se ci interessa sapere verso quale direzione stia camminando (avanti o indietro) il sistema visivo ha bisogno di avere informazioni sul movimento (per es. la camminata)”.
I ricercatori hanno preso in considerazione dodici volontari, sottoponendoli a test comportamentali, utilizzando due tecniche di indagine complementare, cioè la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la stimolazione magnetica transcranica (TMS).  La fMRI è una tecnica di generazione delle immagini in grado di studiare la funzionalità di determinate aree del cervello, mentre la stimolazione magnetica transcranica permette di studiare come funzionano i circuiti e i collegamenti neuronali all’interno delle aree cerebrali.
 
Durante i primi due test, i volontari hanno dovuto distinguere immagini di corpi statici e quelle di corpi in movimento e, in seguito, la direzione del movimento e l’orientamento del corpo osservato. L’analisi dei dati della fMRI ha permesso appunto l’individuazione delle due aree corticali, di cui una responsabile del riconoscimento della forma del corpo (l’Area Extrastriata del Corpo – EBA) e l’altra responsabile dell’identificazione del movimento (il Solco Temporale posteriore Superiore - pSTS).
 
Basandosi su questo primo risultato i ricercatori hanno indagato la dipendenza reciproca delle due aree corticali, alterando i processi funzionali di un’area alla volta tramite la stimolazione magnetica transcranica e analizzando il conseguente comportamento dei volontari. Lo studio ha mostrato che le due aree operano in modo autonomo.
 
Un’alterazione dell’area responsabile del riconoscimento della forma (l’area EBA) causa la riduzione della capacità dei soggetti di identificare la direzione di orientamento del corpo, mentre lascia inalterata la capacità di individuare la direzione del movimento. I risultati sono invertiti quando l’alterazione è indotta sull’altra area (la pSTS).
 
“Grazie al nostro studio sarà possibile capire meglio le basi biologiche dietro ad alcuni disturbi comportamentali, legati alla comprensione delle azioni degli altri” conclude la dott.ssa Battelli. “Per esempio i disturbi della sfera socio-affettiva, quali l’autismo, o i disturbi alimentari come l’anoressia e la bulimia, per i quali è stato dimostrato che esistono alterazioni anatomiche e funzionali a carico delle due aree della corteccia temporale che abbiamo studiato. I nostri risultati sono un primo passo importante per poter programmare un possibile intervento terapeutico”.
 
Il risultato è frutto di una collaborazione tra ricercatori del Center for Neuroscience and Cognitive Systems dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Rovereto (Trento), del Center for Mind/Brain Sciences dell’Università di Trento e del Department of Cognitive and Brain Sciences della Rochester University negli Stati Uniti.

Viola Rita
14 gennaio 2014
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