Il 19% della popolazione tra i 60 e i 79 anni ha il diabete. In totale 134 milioni di persone. Un numero destinato ad aumentare, si stima che nel 2015 raggiungerà i 252 milioni di persone malate. Sono questi i numeri che arrivano dal World Diabetes Congress organizzato dall’International Diabetes Federation (IDF) in corso a Melbourne dal 2 al 6 dicembre che vede la partecipazione di oltre 12mila delegati provenienti da 160 paesi. Numeri sottostimati: fino al 50% delle persone con diabete di tipo 2 non è diagnosticato con un conseguente aumento delle disabilità. Per questo l’IDFinvita i governi a includere nelle loro politiche sanitarie piani strategici per dare risposte alle necessità delle persone anziane e inserire strategie per supportare le conoscenze e le competenze dei professionisti nella cura degli anziani con il diabete.
Non solo, per rafforzare l’impegno verso questa popolazione fragile l’IDF ha stilato apposite
linee guida per il diabete di tipo 2 volte a migliorare le carenze nella cura degli over 60.
“La gestione del paziente anziano è particolarmente impegnativa – ha dichiarato
Trisha Dunnind vice presidente dell’IDF e coautore delle linee guida – specialmente nelle persone con cambiamenti fisici e mentali che aumentano la loro vulnerabilità diminuendo le aspettative di vita e riducendo dignità, benessere e la qualità della vita”.
Le persone con diabete hanno una probabilità di sviluppare la demenza 1,5 volte in più rispetto alle persone non malate. Inoltre i rischi di cadute e fratture aumentano considerevolmente, hanno danni renali ed epatici che complicano la prescrizione e la gestione farmaci. E ancora, sono maggiormente esposti al rischio di eventi avversi associati all’interazione dei farmaci. A questo si aggiunge una carenza dei professionisti su come fornire informazioni e cure alle persone anziane.
“Le nuove linee guida dell’Idf ricalcano quello che i trials clinici e dati di letteratura hanno dimostrato, ovvero la fragilità del paziente anziano – ha spiegato
Giorgio Sesti, professore ordinario di diabetologia all’Università “Magna Grecia” di Catanzaro – una fragilità che costituisce un’ulteriore complicanza rispetto a quella che è la gestione del diabete mellito di tipo 2. L’anziano ha infatti necessità che richiedono un’attenzione del trattamento meno ‘intensiva’ rispetto all’adulto o il giovane, anche perché ha una serie di co-morbilità, come ad esempio un grado di insufficienza renale cronica o patologie cardiovascolari pregresse, che inducono a non avere un target di controllo metabolico, misurato mediante l’emoglobina glicata, eccessivamente ambizioso”.
Le conseguenze? Gli anziani non vengono trattati adeguatamente esponendosi così al richio di cali glicemici che possono avere conseguenze devastanti. “Il rischio maggiore che corrono i pazienti anziani è l’ipogliocemia – ha aggiunto Sesti – che costituisce un problema molto serio che costituisce una barriera al trattamento. Inoltre le ipoglicemie frequenti possono danneggiare il sistema cardiovascolare e il sistema cognitivo ed espongono l’anziano al rischio non secondario di fratture che complicano ancora di più la gestione della patologia. Le linee guida inducono quindi a una maggiore prudenza al trattamento, a ragionevoli target di controllo metabolico e, anche e soprattutto, ad una gestione integrata del paziente che vede il contributo non solo del diabetologo ma anche del geriatra, figure chiave insieme al medico di medicina generale”.
Le linee guida, strutturate in capitolo si occupano in particolare di questioni quali il rischio cardiovascolare, l’insufficienza renale e le malattie del piede diabetico. Includono anche temi meno comunemente affrontati quali la salute sessuale e le cure di fine vita.
Dalla nostra inviata a Melbourne, Ester Maragò