Tutto comincia con una strana debolezza alle mani, un disturbo che progredisce rendendo difficili azioni quotidiane che richiedono precisione nelle dita, come digitare un sms, chiudere i bottoni della camicia, scrivere al pc, usare le chiavi, pettinarsi. Dopo il medico di base i pazienti arrivano al neurologo: è il primo passo verso la diagnosi corretta, che però può anche arrivare dopo 2 o 3 anni dai sintomi e dopo trattamenti inappropriati. La malattia che affligge questi pazienti, per lo più uomini tra i 20 e i 50 anni, è rara e interessa circa 1 persona ogni 100.000. Si chiama Neuropatia Motoria Multifocale (Multifocal Motor Neuropathy - MMN) e origina da una improvvisa disregolazione del sistema immunitario. Per i sintomi con cui si presenta non è inusuale che ai pazienti venga ipotizzata una prima diagnosi errata e tremenda: quella di Sla, la ormai nota Sclerosi Laterale Amiotrofica, gravissima patologia degenerativa, incurabile e ad esito fatale.
A differenza di quest’ultima, però, la Neuropatia Motoria Multifocale (MMN) può essere curata con una terapia specifica. L’importante è arrivare precocemente alla giusta diagnosi e cominciare subito il trattamento indicato per questa malattia: la somministrazione di immunoglobuline ad uso endovenoso specificatamente indicate per questa patologia.
Di tutto questo si è parlato venerdì 29 Novembre a Roma nel corso del convegno
"Le malattie disimmuni del sistema nervoso" organizzato con il contributo educazionale di Baxter, occasione di incontro tra i maggiori esperti del settore.
“La MMN è una malattia del sistema nervoso individuata per la prima volta intorno agli anni '80 – ha spiegato
Eduardo Nobile-Orazio, Responsabile Neurologia 2 Dipartimento di Medicina Traslazionale, Irccs Istituto Clinico Humanitas Università degli Studi, Rozzano - Prima si pensava che questi pazienti avessero la Sla, poi ci si è resi conto che fortunatamente si tratta di una patologia con andamento decisamente più benigno, anche se può essere estremamente disabilitante. E' una malattia che non risponde alla terapia con steroidi o plasmaferesi ma unicamente alla somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa. Questa terapia non guarisce ma migliora sensibilmente la forza dei pazienti nei distretti colpiti e conseguentemente la loro qualità di vita. La terapia, che agisce sugli anticorpi IgM anti GM1, va ripetuta con una frequenza variabile (solitamente mensile) ed è efficace nell' 80% dei casi. Per la maggior parte dei pazienti dunque funziona, e questo è un grande risultato”.
Tuttavia, ancora oggi talvolta i pazienti vengo trattati in modo non efficace: ad una parte di essi infatti vengono somministrate immunoglobuline ad uso polivalente, non testate su questa patologia e che non hanno avuto una indicazione specifica per la cura del MMN.
“Il gold standard – ha spiegato
Gabriele Siciliano, Professore Associato di Neurologia, Università di Pisa – è rappresentato dalla terapia con specifiche immunoglobuline endovena, che va somministrata per lunghi periodi. In alcuni casi la malattia può andare completamente in remissione, in altri casi viene stabilizzata e tenuta sotto controllo grazie al farmaco, garantendo ai pazienti la possibilità di una vita socialmente e lavorativamente attiva. La terapia con immunoglobuline rappresenta un presidio farmacologico che ha un costo, ma è l’unico farmaco attualmente specifico per il trattamento di questa neuropatia. Le alternative più economiche, rappresentate ad esempio dagli steroidi, per la MMN non solo non funzionano, ma rischiano di peggiorare la soluzione. Per questo la terapia con immunoglobuline deve essere considerata la prima opzione terapeutica, perché è in grado di evitare al paziente una disabilità che comporterebbe un aggravio di costi sociali diretti e indiretti sul Ssn. Inoltre, le chiare indicazioni dell’ente regolatorio del farmaco, che ha individuato per la MMN una specifica indicazione, dovrebbero eliminare le ulteriori perplessità al riguardo”.
“E’ difficile credere che non venga colta l'importanza di utilizzare una terapia specifica, pensando di utilizzarne altre solo sulla base di un presunto risparmio – ha concluso
Laura Bianconi vice capogruppo del Nuovo Centrodestra – Stiamo facendo molto in Italia per cercare di incentivare la ricerca e lo sviluppo di terapie per le malattie rare che rispondano ad un forte bisogno dei pazienti. E’ evidente che tali farmaci costosi ma necessari debbano essere usati in modo attento e appropriato, ma non è possibile che il paziente non venga curato adeguatamente solo perché una Asl o un ospedale vogliano risparmiare nel breve termine. Oltre a questo è necessario una volta ottenuto il via libera da Ema ed Aifa che questi farmaci siano immediatamente disponibili in tutte le Regioni senza intoppi come avviene oggi. Da una parte i rischi sono di trattare in modo non efficace il paziente con un aggravio dei costi di gestione, dall’altra di uccidere la ricerca volta ad investigare l’efficacia di nuovi farmaci, che in quanto tali devono, invece, essere maggiormente tutelati perché necessari a fronteggiare patologie molto rare".