Uomo e donna: organismi diversi, che necessitano di cure e approcci distinti. Eppure, anche se negli ultimi anni ha iniziato a comparire nel dibattito il problema della medicina di genere, in realtà le differenze nell'accesso alle terapie, l'assistenza e le sperimentazioni sui farmaci continuano a rimanere enormi. Tra i medici c'è ancora poca informazione e il mondo scientifico sembra essere stato colpito, nei confronti delle donne, dalla 'sindrome del bikini': gli studi più recenti condotti in campo femminile si sono concentrati praticamente solo sull'apparato riproduttivo e sul seno. Lacune che hanno portato a morti evitabili, e che vanno dunque colmate. E' questo l'allarme lanciato dagli esperti riuniti ieri a Milano, presso la sede della regione Lombardia, al convegno promosso da Donneinrete, con il patrocinio della Fondazione Lorenzini, del Centro studi nazionale su salute e medicina di genere.
“L'anno scorso in Italia – ha rilevato
Rosaria Iardino, presidente di Donneinrete – oltre 150mila donne sono morte perché non gli è stato diagnosticato un infarto. Morti che avrebbero potuto essere evitate. Purtroppo poche regioni affrontano il piano sanitario con un approccio di genere”. E non è questa l'unica 'defaillance' del sistema sanitario italiano. “Presso l'Aifa – ha continuato – c'è stato un tavolo sulla medicina di genere che ha portato alla revisione della legge sui trial clinici, ma che è ormai fermo da un anno”. Inoltre le dimissioni dell'attuale ministro della Salute,
Beatrice Lorenzin, e la quasi certa crisi di Governo sembrano mettere a rischio il lavoro sul nuovo Patto per la Salute.
“Stiamo lavorando – ha spiegato
Emilia De Biasi (PD), presidente della commissione Sanità del Senato – per avere il nuovo Patto, in concomitanza con la legge di Stabilità, per inserirvi la medicina di genere, anche solo a livello del termine. Credo che il ministro avesse l'intenzione di lavorare in questo senso e spero che il quadro si ricomponga. Al momento esistono solo delle vecchie linee guida che vanno aggiornate con i Lea, lavorando anche su questo punto”.
E se a livello istituzionale la situazione è questa, anche dal punto di vista medico la strada da compiere è ancora molta. “Ogni mattina quando lavoro in corsia – ha rivelato
Giovannella Baggio, presidente del Centro studi sulla salute e medicina di genere – mi chiedo se devo curare uomini e donne allo stesso modo e in realtà una risposta noi medici ancora non ce l'abbiamo. La maggior parte della ricerca alla base delle azioni mediche è stata condotta sull'uomo, traslando i risultati sulle donne, in molti casi senza prove”. Sulle donne si è lavorato tanto in questi anni sul cancro del seno, dell'utero, sul papilloma virus: praticamente solo sull'apparato riproduttivo e sul seno, facendo emergere nel mondo della medicina e della ricerca quella che Baggio ha definito come la “sindrome bikini – ha spiegato - Ma la medicina di genere, che non studia le malattie che colpiscono soprattutto le donne, ma l'influenza del sesso e del genere sulla fisiologia, la fisiopatologia e la clinica, è una necessità sempre più urgente”.
Anche perché si tratta di differenze che spesso possono fare la differenza tra la vita e la morte. Tanti gli esempi che si possono fare. Come l'aspirinetta, caposaldo della prevenzione nell'infarto, che per molti necessiterebbe di studi più approfonditi per valutarne l'efficacia nelle donne, o il diabete che è molto più cattivo e provoca infarto tre volte più che nell'uomo, e i sintomi di infarto e ictus che sono diversi e atipici nel sesso femminile. “Il risultato è che le malattie cardiovascolari negli ultimi 30 anni non sono calate nelle donne come negli uomini – ha proseguito Baggio - non solo perché la donna invecchia di più, ma perché i fattori alla base di queste patologie hanno un impatto diverso. Ciò significa che le azioni di prevenzione sono state condotte nel modo sbagliato”. Inoltre, nonostante le donne sino più a rischio di ammalarsi di malattie cardiovascolari, hanno un minore accesso alla terapia tramite dispositivi rispetto agli uomini.
Come ha sottolineato
Gianluca Botto, presidente dell'Associazione italiana di aritmologia e cardiostimolazione (Aiac), “nonostante il costo giornaliero della terapia con dispositivi come i defibrillatori impiantabili sia vantaggioso rispetto a quelle delle terapie farmacologiche più diffuse, meno del 40% dei pazienti eleggibili maschi li riceve. Dato che scende al 29% quando si tratta delle donne”. Differenze che spesso si riscontrano anche nello stesso territorio tra asl e asl e che stanno emergendo con l'indagine conoscitiva avviata dalla Commissione Sanità del Senato sulla sostenibilità di un Ssn universale e solidaristico, in particolare su tre patologie per quel che riguarda la medicina di genere. “Divari clamorosi – ha concluso De Biasi – e ormai intollerabili. Le donne devono riassumere la consapevolezza di sé”.