Su duemila donne lombarde, affette da tumore della mammella in fase iniziale caratterizzato dal recettore HER2-positivo, trattate con Trastuzumab nella pratica clinica tra il 2006 e il 2009, le pazienti che hanno sviluppato almeno un problema cardiaco di gravità tale da richiedere un’ospedalizzazione sono risultate pari al 2,6% del totale fino a raggiungere circa il 10% in pazienti con età superiore ai 70 anni. I risultati della ricerca condotta dall'Irccs Mario Negri e Fondazione Maugeri suggeriscono che il profilo rischio/beneficio del trastuzumab "vada sottoposto ad una più attenta valutazione, al fine di elaborare delle strategie atte a ridurre il rischio di eventi cardiotossici in particolari sottogruppi di pazienti, quali donne anziane con più di 70 anni e con fattori di rischio cardiovascolari".
Il Trastuzumab, dal momento della sua approvazione, è diventato lo standard terapeutico nel tumore della mammella HER2-positivo, dapprima per la malattia metastatica ed, in seguito, anche nelle fasi iniziali. Ampi studi sperimentali sul trastuzumab somministrato come terapia adiuvante a pazienti con tumore della mammella HER2-positivo minimamente invasivo hanno dimostrato un sensibile incremento di sopravvivenza complessiva e libera da malattia.
Poiché gli studi sperimentali prediligono generalmente l’inclusione di popolazioni ‘selezionate’ più giovani e sane, lo studio si è posto l’obiettivo di verificare la reale entità degli eventi cardiotossici legati al trastuzumab nella pratica clinica in persone più anziane e affette da varie comorbidità.
“Questo ampio studio - ha commentato
Eva Negri, dell’Irccs Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano - fornisce rilevanti ed esaustive informazioni sul profilo di sicurezza del trastuzuamb in merito alla cardiotossicità in pazienti con tumore della mammella HER2-positivo in fase iniziale, dimostrando una sostanziale variabilità nei diversi sottogruppi di pazienti. Età avanzata, superiore a 70 anni, e storia anamnestica di patologia cardiaca sembrano essere i principali predittori dell’insorgenza di cardiotossicità”.
“Nel nostro studio - ha aggiunto
Carlo La Vecchia, dell’Irccs Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ e dell’Università di Milano - abbiamo considerato unicamente eventi cardiaci di gravità tale da richiedere un’ospedalizzazione. Per esempio, abbiamo rilevato un’ incidenza cumulativa di ospedalizzazione per scompenso cardiaco congestizio dell’1,4% (principale diagnosi di ammissione e dimissione nella scheda di dimissione ospedaliera-Sdo), che è circa 3 volte più elevata dell’incidenza cumulativa di scompenso cardiaco congestizio severo pari allo 0,54% riportata nel più ampio studio sperimentale che ha condotto all’approvazione del regime chemioterapico somministrato alla maggior parte delle nostre pazienti (studio Hera)”.
La questione relativa a se gli eventi cardiaci osservati siano realmente imputabili al trattamento con trastuzumab o semplicemente attribuibili alle differenti caratteristiche delle popolazioni in studio, rimane oggetto di discussione.
“Il fatto, però – ha concluso
Alberto Zambelli, della Divisione Oncologia Medica Irccs Fondazione Maugeri - che il rischio cumulativo di cardiotossicità sia in aumento nei primi due anni dall’inizio della terapia con trastuzumab e rimanga invece stabile nel terzo anno dal termine del trattamento, sembra suggerire che la maggior parte degli eventi osservati durante o immediatamente dopo la sospensione del farmaco siano realmente attribuibili al farmaco”.